Lui & Lei. Un classico. Coppia fissa, sul palco e nella vita. Lorelle (ovvero Lorena Quintanilla) e The Obsolete (Alberto González). Messicani di Guadalajara, psych rockers onirici, ipnotici, un filo sperimentali. Mischiano influenze diverse (shoegaze, garage e kraut rock in cima alla lista) sotto il caldo sole del Sudamerica. Lorelle con il suo basso e a volte la chitarra, la voce da sirena, un po’ Laetitia Sadier degli Stereolab un po’ Trish Keenan dei Broadcast, un po’ Sanae Yamada dei Moon Duo. The Obsolete fa il jolly, suonando tutto il resto e cantando quando gli và .

Un gran bell’esordio (“On Welfare” del 2011) che dava la piacevole sensazione di guardare il mondo attraverso il finestrino di una nave aliena di passaggio diretta verso qualche affascinante galassia lontana; un secondo album (“Corruptible Faces” uscito l’anno scorso) molto più concreto. E ora “Chambers”, disco numero tre in cui Lorelle & The Obsolete completano l’evoluzione allontanandosi dallo stile sognante degli inizi per scoprire una grinta tutta nuova.

Dieci pezzi che sembrano altrettante camere con vista. Pensione completa e puoi scegliere di dormire dove vuoi. La trascinante “What’s Holding You?” deve molto ai già  citati Moon Duo; “The Myth Of The Wise”, “Music For Dozens”, “Sealed Scene” e “13 Flowers” invece ricordano la densità  ritmica degli Spaceman 3 periodo “Playing With Fire” e rappresentano l’anima più tenacemente rock, distorta e melodica di Alberto e Lorena. “I Can’t Feel The Outside” e “Thoughts About Night Noon”, strani divertissement cantati prevalentemente da The Obsolete, strizzano l’occhio alla giocosità  degli Holy Wave e proseguono il discorso iniziato con “The Obsolete Man” di “On Welfare” e ripreso in “Morning Darkness” di “Corruptible Faces”. I momenti più riusciti restano comunque quelli in cui Lorelle & The Obsolete tornano a farsi un giretto tra stelle, perdendosi nello spazio nero e profondo (“Grieving”, “Dead Leaves”, “Third Wave”).

Il percorso artistico di Lorelle Meets The Obsolete ricorda un po’ quello dei Wooden Shjips: primi lavori molto “free”, liberi di esplorare confini armonici e musicali, poi una progressiva normalizzazione con canzoni d’impianto classico, decisamente più accessibili. Meno psichedelico e più rock, il duo di Guadalajara conferma quanto di buono si era già  visto in passato mantenendo quell’atteggiamento sbarazzino e indipendente che ne ha sempre caratterizzato la produzione.