Sono passati due anni dall’uscita della bellissima “Under The Westway”, singolo targato Blur compreso di Coxon e la chiusura come headliner allo spettacolo di chiusura delle olimpiadi inglesi. Non basta. L’anno scorso la band tornava sui palchi con un tour mondiale partito il 15 marzo dal Plaza Condesa di Città  del Messico passato anche per L’Italia. Il 6 maggio, Damon Albarn sul palco dell’Asia World-Expo di Hong Kong, annunciava che i Blur sono in fase di composizione di un nuovo album, la cui uscita è prevista per il 2014. Insoma sembrava tornata l’armonia nella band, nell’aria tutti sentivano l’imminente annuncio di un disco dei Blur.
E invece Albarn spiazza tutti, accantona qualsiasi cosa, progetto o band e si presenta come solista con un disco nella quale ha deciso di metterci veramente se stesso.

“Everyday Robots” sulla scia di “Think Tank” si concentra su pochi suoni riconoscibili: Il pianoforte, la chitarra acustica, beat elettronici con numerose sfumature Afro (una passione che Albarn coltiva dai tempi dei Seymour), e orchestrazioni equilibrate. In più si sentono in background per tutti il disco svariati suoni e rumori figli del nostro tempo, ormai grandi e vivi nella sua Londra e in tutte le metropoli europee. Immaginate Albarn starsene lì all’ultimo piano di un palazzo con finestre che abbracciano quasi tutta la città  di Londra e raccontare quello che vede e sente. Perchè è vero “Everyday Robots” sembra la colonna sonora della Londra del duemila. Canzoni bellissime, dotate di classe ed eleganza, una maturità  e una consapevolezza spiazzanti, un suono underground, minimalista ma anche e soprattutto cosmopolita.

Gli “Everyday Robots”siamo tutti noi che in un modo o in un altro, ingabbiati e intrappolati nella devastante routine, ci facciamo domande e cerchiamo di capire cosa succede e cosa stiamo facendo della nostra vita quando, in macchina, stiamo tornando da lavoro la sera. L’ispirazione per “The Selfish Giant” è venuta da una piccola cittadina della Scozia ora quasi abbandonata ma che in passato è stata sede di una flotta atomica americana dei tempi della Guerra Fredda. “Lonely Press Play” è un disegno perfetto del giovane del XXI sec: forte sensazione di solitudine, cielo cupo e cuffiette nelle orecchie, perchè in fondo basta un “Play” per sentirsi meglio, per evadere.

Dopo una tripletta da urlo il reggae-dub di “Mr. Tembo” è proprio quello che ci voleva. Il pezzo è una dolce dedica al piccolo Tembo, un cucciolo di elefante cresciuto in Tanzania da un uomo particolarmente religioso e innamorato della canzone corale, con orecchiabilissimo motivo gospel accompagnato dallo scanzonato ukulele, per l’ennesimo tributo all’Africa, ormai seconda patria per Albarn. “You & Me” è una canzone di una malinconia vera e sincera. Taglia il respiro in mille parti e nei lunghi sette minuti del pezzo il tempo sembra dilatarsi e nel frattempo una sensazione di straniamento ti si mette addosso. Un viaggio.
Non mancano elementi autobiografici come in ” The History of a Cheating Heart” e in “Hollow Ponds” piccole perle ballad come solo Albarn sa scrivere.

A conclusione di un viaggio malinconico pieno di intensità , intimità  come un fulmine a ciel sereno parte il vocione forte, chiaro e musicale di un tale Brian Eno che abbandona le vesti di produttore e arrangiatore e si lascia andare in un cantato pieno ed espressivo che fa di “Heavy Seas of Love” una chiusura degna dell’intero disco.
Sarebbe stato un grandissimo disco d’esordio per un’artista.
Meglio ancora perchè “Everyday Robots” è un racconto, un viaggio (da vedere i video dei singoli) incredibile di uno degli artisti più geniali dell’intera scena alternative.