Sono una fan post-millennium dei Belle and Sebastian. Anagraficamente colpevole, non ero pronta quando esordivano con “Tigermilk” nel 1996, mille copie in vinile e il passaparola come unico progetto di marketing. Non c’ero quando firmavano con la Jeepster e pretendevano di non rilasciare singoli, di non promuovere gli album, persino di non comparire in foto promozionali: di non diventare famosi, di non perdere nemmeno un pezzettino della loro autonomia artistica. E posso immaginare che averli conosciuti allora dovesse dare il brivido di una privilegiata segretezza da iniziati massonici o cose così. Io e loro ci siamo incontrati anni dopo, quando le cose erano già  cambiate. Quando andava bene che “Expectations” e “Piazza New York Catcher” fossero nella colonna di un film come “Juno”, destinato a far discutere. Quando all’Avalanche di Edimburgo i loro vinili dalle copertine mono-color rimanevano in vetrina tutto l’anno.

è tutto già  successo, mi dicevo, siamo arrivati tardi, noi post-millenium fan.

Invece è l’8 agosto 2014, ma finalmente per me è il 1996. Un 1996 in cui avere vent’anni, indossare maglioni oversize e per caso o per fortuna aver scoperto una band di Glasgow che stava scrivendo proprio per te. Non è la provincia scozzese ma la Rocca Malatestiana di Cesena, in chiusura del festival acieloaperto. Sta succedendo adesso.

Così ti trovi davanti Stuart Murdoch&Co, e sono tanti e meno pretenziosi di qualsiasi altro gruppo sul palco tu abbia visto o vedrai. Venti minuti ““ e “Judy is a Dick Slap”, “I’m a Cuckoo” e “Another Sunny Day” ““ dopo, non sai bene come non sorridere e sei certo che non ci siano problemi abbastanza grandi da non poterci ballare sopra. Perchè è questo che fa il piccolo-grande Stuart sul palco, qualche saltellino da pugile che si riscalda, qualche nuotata a vuoto con le spallucce maldestre, la voce di eterno ragazzino, di un’epoca altra che nè lui nè noi abbiamo davvero vissuto. Look at this place, ci dice e la sua sembra meraviglia sincera, la nostra è meraviglia sincera mentre perfetti fermano il mondo ““ si diffonde nell’aria “I Want the World to Stop” e quanta gioia, quanta? ““ con la Rocca medievale alla loro destra, timidamente presente di luce aranciata. Al suo fianco, di tanto in tanto Stevie Jackson lascia la chitarra elettrica e prende la fisarmonica, così goffo e uncool, così belleandsebastian-ish con la maglia a righe d’ordinanza e gli occhiali troppo spessi da non sembrare vero.

Poi è il momento ““ è il Momento ““ di “Piazza New York Catcher”, arrangiamento hawaian più lento e più dolce e e un po’ della mia delusione: difficile accettare variazioni su ciò che si considera già  perfetto com’è. Il mio amico mi rimbecca: se vuoi le canzoni come sono nell’originale, le ascolti a casa con le cuffie nella tua cameretta, non ai live. E così sia, niente da ridire. In fondo quel giro d’accordi scanzonato non mi sembra più così male.

“Sukie in The Graveyard” si interrompe e Murdoch pesca due fan dal pubblico e le porta con sè sopra le mura: this is too beautiful, I’m with the San Marino royal family here [?]. Altre tre o quattro fortunate ballano con la band sul palco durante “Legal Man” e mi sembra davvero il trailer di God Help the Girl [God Help Us a vederne qualche screenshot anche in Italia, accidenti], il music film diretto da Stuart Murdoch in cui l’immaginario di vent’anni di Belle and Sebastian trova un corrispettivo visivo. Let me tell you this: if you wanna hear your voice floating into a beautiful tapestry of frequencies, you’re gonna need a pop group. Ed è già  tutto lì quello che si può dire sui live dei Belle and Sebastian, il galleggiamento di voci in un bellissimo intreccio di frequenze; avevi solo bisogno di un gruppo pop, eccoli lì.

Chiudono con “The State I Am In” e “Me and the Major” come encore. Tutto troppo veloce, stai ancora sorridendo. Sta succedendo adesso. I was happy for a day in 1975 ““ o era il 1996?

Credit Foto: Andy Witchger / CC BY