La musica, almeno per chi la ascolta, è quasi sempre una faccenda privata. In un disco puoi intersecare tra una canzone e l’altra mille brandelli di vita o semplici suggestioni. Per chi scrive, i The Gaslight Anthem ai tempi di “The ’59 Sound” hanno arricchito e destrutturato sentimenti ed emozioni di qualche estate fa. Nel cuore di una nuova estate, un nuovo disco di Fallon e soci mi aspetta sull’uscio di un rovente pomeriggio di agosto. La sensazione è quella di ritrovarsi teletrasportati in una versione diversa di noi stessi, intrappolati in una bolla spazio tempo che gioca rimandandoci a ricordi più o meno cristallizzati ma in forma diversa.

Al di là  di suoni familiari e di una voce che sembra prendersi sempre la briga di volermi riportare a casa, questo “Get Hurt” svolge il compitino con diligenza restando lontano dalla scintillante perfezione dei brani di quel disco che ancora oggi gira spesso nel mio lettore. Siamo sempre in territori di rock radiofonico, che deve tanto a Springsteen e che stride con le mode “indie” del momento, almeno fino a quando un manipolo di hipster barbuti non deciderà  che queste sonorità  saranno nuovamente cool. Da queste parti, però, le mode sono soltanto un lontano ronzio in sottofondo e non c’è nessuna vergogna a dichiarare l’amore per una band mainstream e decisamente classica. Il problema, almeno in questo caso, è una qualità  dei brani sufficiente, con due tre pezzi leggermente sopra la media che solo da lontano richiamano alla mente i ricordi estivi legati a brani come “Casanova Baby” o “The Backseet”.

Una parabola discendente quella dei The Gaslight Anthem, anche se “Get Hurt” si assesta una spanna sopra al precedente e anonimo “Handwritten”. Il cuore suggerirebbe di premiarlo con una mezza stelletta in più, ma nel firmamento dell’obiettività  non si può andare oltre una piena sufficienza. O