C’è del marcio in Danimarca. E per fortuna, aggiungerei. Gli Iceage sono conterranei del vecchio Amleto, sono poco più che ventenni, suonano punk (che poi è qualcosa di più di semplice punk) e hanno registrato un disco, “Plowing Into the Field of Love”, che spacca i culi (il linguaggio si adegua all’attitudine punk della band).

Something is rotten in the state of Denmark: la citazione in lingua originale non è un vezzo spocchioso. C’è quella parola lì, rotten, che non va trascurata: trecentosettantadue anni dopo l’Amleto di Shakespeare sarebbe diventata il soprannome con cui John Lydon avrebbe incendiato la scena musicale con i Sex Pistols. Fu vera gloria? Quanto c’era di costruito dal manager Malcolm McLaren? La grande truffa del rock’n’roll, come afferma il docufilm di Julien Temple? Una specie di boy band punk? Indipendentemente da come la si pensi sui Sex Pistols, è innegabile che quel 1975 sia stato uno spartiacque: il punk entrava in tackle sulla cultura britannica e mondiale. Con gli anni, quella forza dirompente e iconoclasta avrebbe perso forza e sarebbe stata assorbita nel canone e, conseguentemente, smorzata. Il discorso cambia con gli Iceage: il punk brucia ancora e non è quella robetta tipo i Green Day, buona per adolescenti con gli occhi truccati. I quattro ragazzi da Copenaghen hanno preso l’attitudine punk più pura e autentica e l’hanno mischiata con una spinta hardcore degna dei migliori anni “’80.

Già  con l’esordio “New Brigade” (2011) e, soprattutto, con “You’re Nothing” (gemma nichilista del 2013) avevano dimostrato di essere in grado di coniugare la componente punk (auto)distruttiva con una non indifferente attitudine alla melodia. Con “Plowing Into the Field of Love” compiono il miracolo. C’è il nichilismo di “You’re Nothing”, la gelida apatia, il disagio senza scampo di avere vent’anni e sentirsi fuori posto. C’è il marcio, che raschia nella voce di Elias Bender Rønnenfelt: a tratti sembra uno Ian Curtis in versione hardcore, uno che non vede l’ora di sanguinare, uno che cerca il dolore come risposta al nulla della vita (date un’occhiata ai video dei live o alle foto che pubblicano sul loro sito). Ci sono sfumature esistenzialiste e cupe. Ma le canzoni vanno oltre il punk puro e semplice. Accelerano, rallentano, cambiano passo come in “How Many”, che inizia incalzante e veloce con un piano dissonante che tenta di farsi largo tra rullante, chitarra e basso; il ritmo rallenta nel ritornello, quando il piano finalmente trova il suo equilibrio con il rullante di Dan Kjà…r Nielsen e può accompagnare la voce di Elias Bender Rønnenfelt. A tratti, “Plowing Into the Fields of Love” sembra una jam session che incorpora elementi che punk non sono, come trombe, archi e piano (“On My Fingers”, “Glassy Eyed Dormant and Veil”, “Forever”, la ballata notturna “Against the Moon”, la title track “Plowing Into the Fields of Love”), e tutto diventa benzina da gettare sulla fiamma gelida del punk hardcore degli Iceage.

Rispetto ai primi due album, la band danese adesso sembra post tutto, post punk, post hardcore, post noise, post qualsiasi cosa vi venga in mente. I confini di un genere gli stanno stretti, li rompono e spostano i limiti un po’ più in là , in territori in cui sono riconoscibili certe influenze (da Iggy Pop ai Joy Division, dai Velvet Underground ai Sonic Youth, dai Pogues a Nick Cave in tutte le sue incarnazioni), ma senza diventare epigoni di nessuno. Gli Iceage riescono nell’impresa di espandere il loro suono senza abbandonare le radici punk e l’attitudine hardcore, nessun desiderio di essere come qualcuno (o come tutti, fate voi). La tradizione si sente, il peso della storia è tutto lì, ma fuso in un’amalgama denso e scuro e nichilista e sporco che risulta originale ed entusiasmante (nonostante i sentimenti evocati siano tutt’altro che positivi). Senza mai smettere di inseguire un’idea di melodia, quella cosa che ti permette poi di canticchiare o fischiettare una canzone.

Con “Plowing Into the Fields of Love”, gli Iceage aggiungono un afflato epico, il senso di una cavalcata nichilista attraverso una landa desolata coperta di macerie.
C’è del marcio in Danimarca, ed è bellissimo.

Plowing Into The Field Of Love
[ Matador – 2014 ]
Genere: Punk, Post Punk, Dark Punk, Post Tutto
Rating:
1. On My Fingers
2. The Lord’s Favorite
3. How Many
4. Glassy Eyed, Dormant and Veiled
5. Stay
6. Let It Vanish
7. Abundant Living
8. Forever
9. Cimmerian Shade
10. Against The Moon
11. Simony
12. Plowing into the Field of Love