Un uomo coi baffoni che ti guarda dalla copertina, con quel dito proteso in avanti, il fare accusatorio e tutta l’aria di essere la risposta sovietica all’Uncle Sam americano che dai manifesti dichiarava: “I Want You”. E’ tornata la cortina di ferro, siamo di nuovo in clima di guerra (fredda o calda che sia?). La rivoluzione è alle porte? No, non ancora. Semplicemente dopo trentacinque anni il Pop Group ha deciso di fare un nuovo disco. Il Pop Group ovvero quel gruppetto di amabili spostati che tra fine anni settanta e inizio anni ottanta sono calati sul mondo della musica come un’incredibile novità  o una calamità  naturale (l’opinione varia a seconda di chi è a esprimerla, come sempre). Destreggiandosi abilmente tra reggae, funk, post punk in epoca punk, provocazione e anarchia totale per cercare nuovi modi di fare ogni cosa. Con i loro dischi (da “Y” a “We Are Time” a “Cabinet Of Curiosities” a “For How Much Longer Do We Tolerate Mass Murder?”) e le loro canzoni (da “We Are All Prostitutes” a “She’s Beyond Good And Evil”) hanno aperto un mondo a tanti ragazzini in cerca di nuovi spazi tra le sette note, spazi tutti da esplorare.

Trentacinque anni dopo, dicevamo, Mark Stewart, Dan Catsis, Gareth Sager e Bruce Smith ci riprovano, dopo la reunion live del 2010. Un po’ come i Monty Python, solo che qui non c’è nulla da ridere. Ormai adulti, uomini di mezza età , i capelli molto meno ribelli di un tempo, Stewart e soci tornano a graffiare e riaprono il loro personalissimo “Cabinet Of Curiosities”. Come suona il Pop Group con un trentennio e passa di storia sulle spalle quindi? Com’è questo “Citizen Zombie”? Musicalmente solido, minaccioso e brillantemente apocalittico. Pazzoide, un po’ dappertutto (solo il Pop Group se ne poteva uscire con qualcosa tipo “St. Outragious” e “Shadow Child” riuscendo a farla franca). Strano il giusto, con Mr. Stewart che strilla, si dibatte con voce più acuta che mai e scrive dei testi che di essere ascoltati non te lo chiedono lo ordinano (“Nations” solo per dirne una ma anche “The Immaculate Deception” non scherza). Alternativo il giusto ma non troppo, per via del produttore Paul Epworth (che nel suo carnet ha gente come Adele, Florence + The Machine, Lorde ma anche Sir Paul McCartney) che per fortuna ad addomesticare questi quattro scalmanati non ci ha neppure provato.

Li ha lasciati liberi di creare e scorrazzare a piacimento, di giocare con l’elettronica e le influenze dub che tanto hanno affascinato Stewart negli ultimi anni (evidenti soprattutto nella title track e nella già  citata “Nations”). Limitandosi ad aggiungere groove danzerecci qua e là  (“Mad Truth”, “s.o.p.h.i.a”) qualche melodia (“Nowhere Girl”, “Age Of Miracles”, la sorprendente ballata “Echelon”) e a dare una parvenza di ordine ai ritmi tribali e al caos energetico tipo Big Bang che il Pop Group inevitabilmente crea. La loro era musica paranoica per tempi paranoici negli anni ottanta, come l’ha definita Nick Cave. Lo è ancora oggi. Let The Freak Flag Fly ha detto Mark Stewart presentando l’album. Vola, vola, e bene in alto anche. Onore al Pop Group, per il coraggio e la voglia di fare. Onore a quattro ragazzi nell’anima che non saranno mai, veramente pop.