Quando Laura Marling debutta nel 2006 con “Alas, I cannot swim” ha solo 16 anni, è appena arrivata a Londra. Diventa frettolosamente la storia di un successo precoce. L’anno successivo suona per strada, davanti al Soho Revue Bar: non l’hanno fatta entrare nel locale dove si tiene il suo launch party perchè non ha l’età  legale [storia vera]. Ecco, una precocità  di questo tipo. “Short Movie” è il suo quinto album, ora di anni ne ha 25. Il campo di battaglia ““ sarà  banale, ma tant’è ““ è quella della mid-twenties crisis (non certo lavorativa).

La ragazzina del New Hampshire, nel frattempo, si è trasferita a Los Angeles. Il precedente “Once I was an Eagle” (2013) era un album delle praterie, degli spazi aperti. “Short Movie” è tutto cittadino e forse non è un caso. Passa anche per l’Upper West Side di Manhattan dove una notte Laura si trova barricata in un appartamento senza elettricità : un episodio che diventerà  il punto più intenso di questo ultimo lavoro, “False Hope”. Lì canta anche: va bene non sapere ancora come stare da sola? Va bene non sapere how to be at all? Di questo si parla (forse in tutta la musica). Qui nello specifico: identità  e successo, il senso di (in)appartenenza verso quell’ambiente musicale in cui pure sei diventata un’adulta. La solitudine che hai costruito con ostinazione ma che non hai mai imparato davvero ad abitare (“Walk Alone”, “Worship Me”).

In fondo, però, il sospetto è che la Marling sappia bene chi è e dove sta andando. Who the hell do you think you are? Just a girl that can play guitar (“Short movie”). Ed è tutto lì, in quella chitarra esagitata di dinamiche imprevedibili, che deve ancora molto a “The Needle and the Damage Done” di Neil Young, prima canzone che Laura abbia imparato a suonare. In questo “Short Movie”, mai prima, chitarra non solo acustica ma anche elettrica, con risultati non minori. Per la leggerezza incalzante di un brano come “Gurdjeff’s Daughter” si può addirittura scomodare un paragone con “Sultans of Swing” dei Dire Straits.

C’è qualcosa di irritante nella perfezione ascendente della carriera musicale di Laura Marling. E c’è un rischio sotterraneo: che il suo talento diventi scontato, noioso. La qualità  è sempre altissima, i suoi album sono tutti giusti, sì, sempre un po’ meglio, ma fondamentalmente interscambiabili. Manca un album sbagliato, non brutto ma nemmeno così disciplinato. Questo le auguriamo.