Nel 1997 tutte le radio nostrane suonavano di continuo “Fuori dal tempo”, pezzone synth-pop dei Bluvertigo di “Metallo non metallo”, e sembra surreale ma il grande pubblico era tutto lì a cantare La condizione in cui mi trovo è proprio fuori dal tempo dietro a Morgan e Andy. Nel ’97 per i Verdena sono i tempi acerbi e al fulmicotone di “Fiato adolescenziale”, e probabilmente “Fuori dal tempo” non l’avranno nemmeno mai sentita. Per carità , niente parallelismi azzardati, è solo che quella storia continua a venirmi in mente mentre al Bronson di Ravenna aspetto che inizi il live dell’unica band italiana che oggi riesca a creare del sano, autentico (e così brit) hype.

“Endkadenz vol.1” ha messo subito d’accordo tutti: non c’è stato bisogno di aspettare mesi, anni o tour interminabili per farlo entrare nell’immaginario collettivo come un disco quasi perfetto, pur nel suo essere così disorientante. La profusione di copertine, i sold out ininterrotti, il singolo “poppettone” “Un po’ esageri” che piace trasversalmente a tutti, mentre i più vecchi si esaltano ancora quando in radio Alberto fa la cover di “All shook up” di Elvis. Un hype mostruoso, e perchè siamo in Italia, e perchè stiamo parlando dei Verdena. Lasciati i Jennifer Gentle di Marco Fasolo che li hanno accompagnati nelle prime date, i tre non propongono ora nessuna band di apertura e l’inizio del concerto è puntuale alle 22:15. Il locale è pieno, la temperatura tropicale, ma lo spazio vitale c’è ed è sufficiente per muoversi sull’ormai abituale trittico iniziale di “Ho una fissa”, “Un po’ esageri” e del glaciale-malato-caleidoscopico-discotecaro “Sci desertico”, il momento forse più folle e psichedelico di “Endkadenz vol.1”, che i tre riproporranno quasi per intero. I Verdena non sono mai stati abili comunicatori e le parole pronunciate in due ore di live sono meno di quelle biascicate nelle interviste: quello che vogliono offrire è piuttosto una miscela di sperimentazione e solida pratica.

L’unica interfaccia tra la band e il pubblico è Roberta, sempre più mamma-manager-addetta-alle-pubbliche-relazioni: saltella, ringrazia, ogni tanto assume qualche posa da rocker consumata. Alberto, diviso tra piano e chitarra, rivolge gli ormai proverbiali, continui segnali ai tecnici del suono: voce a volte troppo alta, a volte sovrastata, qualche problema con l’attacco di “Un po’ esageri” e l’acustica “Trovami un modo semplice per uscirne”, primo graditissimo ripescaggio da “Requiem”. Forse è tutto un po’ più freddo, però nel complesso è un piacere poter distinguere parole e suoni senza che finisca tutto in un ammasso indefinito e indecifrabile ““ e questo è merito anche del Bronson. Senza soluzione di continuità  si passa dalla psichedelia che urla Battisti di “Vivere di conseguenza” alle code insinuanti e sciamaniche di “Rilievo” fino allo stoner di “Derek”, che dal vivo appare molto più storta e godibile rispetto al disco, anche se il pubblico, un po’ troppo posato, si muove poco. I recuperi dal passato ci sono, sia dal passato prossimo di “WOW” (dai cipressi e molotov di “Rossella roll over” al binomio devastante di “Attonito” e “Lui gareggia”) che da quello remoto di “Solo un grande sasso” (“Starless” vale da sola il prezzo del biglietto). Menzione speciale a “Viba”, picco emotivo della serata: se non fosse per il taglio di capelli diverso dei tre, sembrerebbe quasi di trovarsi catapultati all’Independent Day Festival del 1999. Appiccicosa e untuosa, “Funeralus” chiude il live avvolgendo tutti nel suo manto spesso e nelle sue ritmiche spezzate da cui non si riesce più ad uscire. Concerto finito, l’aria torna respirabile, sorrido sentendo al mio fianco due ragazzi che già  discutono animatamente sul perchè non abbiano fatto “Sorriso in Spiaggia” o “Il caos strisciante”. Sorrido perchè l’unica cosa certa alla fine di più di due ore di musica è che tutto è ancora in divenire, che il tempo di tirare le somme non è nemmeno vicino, che i Verdena dopo vent’anni non hanno alcuna voglia di celebrarsi.

A differenza di una parte consistente del loro pubblico, è meraviglioso accorgersi che i tre non si sono portati dietro i residui di un’ammuffita adolescenza, ma hanno esplorato via via nuovi territori, abbandonando ogni formula standardizzata e lottando fisicamente contro l’eredità  musicale da cui provenivano per oltrepassarla. E’ vero che con “Endkadenz vol.1” non c’è forse lo stacco visibilissimo che c’era stato tra “Requiem” e “WOW”, ma è vero anche che “WOW” era un disco decisamente più a compartimenti stagni: i pezzi al piano, quelli acustici, quelli con le chitarre a far vibrare lo stomaco. Con “Endkadenz” invece è come se tutto si fosse fuso in un’amalgama molto più omogeneo e contemporaneamente meno grezzo. Allora, quando sommessamente mi chiedo, con la mia mentalità  da piccola italiana, se ad uno straniero potrei proporre oggi di ascoltare i Verdena, dicendogli Ecco, questo è quello che il mio paese produce musicalmente e che vale la pena di ascoltare, la risposta è ovviamente sì.

Set List
Ho una fissa
Un po’ esageri
Sci desertico
Loniterp
Vivere di conseguenza
Contro la ragione
Rossella roll over
Derek
Starless
Attonito
Lui gareggia
40 secondi di niente
Nevischio
Trovami un modo semplice per uscirne
Razzi arpia inferno e fiamme
Inno del perdersi
Viba
Puzzle
Scegli me
Isacco Nucleare
Rilievo

Nel mio letto
Luna
Don Calisto
Funeralus