Per i Destroyer l’estate è davvero finita. “Poison Season”, l’ultimo album del gruppo canadese, sembra essere la colonna sonora ideale per il preludio all’autunno. Autunno urbano, per nulla bucolico, in un viaggio ideale tra New York e Bangkok, passando per Londra e costeggiando le rive del Reno. Autunno durante il quale, dopo l’estate, prendersi un momento per sè.

La struttura dell’album è solida: l’impalcatura è retta dalle tracce di apertura e chiusura, “Times Square. Poison Season I” e “II”, originariamente registrate come unico pezzo, sorrette da “Times Square”, versione rock delle altre due, posta esattamente a metà  dell’album. I pezzi scorrono in modo fluido, dando un’impressione generale di coesione e consonanza. La strumentazione eccellente, che coinvolge sax, piano, chitarre, basso, archi, percussioni varie, è il comune denominatore di ogni traccia; ognuna riesce, poi, a rivendicare una propria peculiarità . Alcune ci portano in un mondo filmico, con una soundtrack d’eccellenza. Ora siamo soli al centro di un incrocio stradale affollato. Ora siamo nel silenzio di casa nostra a guardare dalla finestra la città  avvolta nella foschia.
La voce di Dan Bejar, cantautore e frontman del gruppo, è la nostra unica guida nello svolgersi dell’album. Il timbro non caldo e avvolgente, quanto asciutto e ruvido, si sposa perfettamente con le tracce più quiet, amplificando la vena intima e introspettiva che la strumentazione suggerisce. I testi sono “croce e delizia” di questo album: le parole suggeriscono talvolta immagini meravigliose (una su tutte: the evening progressed like a song in “Forces from Above”); altre volte è la sonorità  stessa del testo ad avere un forte potere evocativo.

Il citazionismo gioca un ruolo centrale in tutto l’album: le vaghe allusioni a Billy Joel (You don’t start the fire in “Sun in The Sky”) e “The Four Seasons” (Silence is golden) si alternano a calchi da Bob Dylan (Just like the time before, the time before that in “Midnight Meet the Rain”) e Beatles (Ah shit, here comes the sun in “Dream Lover”). Non manca un corposo numero di autoriferimenti testuali e melodici a precedenti pezzi dei Destroyer, nonchè la menzione di “Escape from New York” di John Carpenter e di “Tender Is The Night” di F. S. Fitzgerald. Insomma, un gioco per le orecchie e per la mente.
Come affermato in un’intervista rilasciata a The 405, nei testi sono disseminati diversi riferimenti autobiografici. Se conoscessimo Dan Bejar, riconosceremmo questi elementi e li organizzeremmo per tracciarne un suo profilo dettagliato. Abbiamo la possibilità  di osservarlo da vicino, ma l’immagine che risulta è sgranata; abbiamo per le mani diversi tasselli, ma non sappiamo come ricomporre il mosaico.

Un album da ascoltare quando fuori il cielo è grigio, a tratti piove e non si ha voglia di uscire.

Credit Foto: Fabiola Carranza