A quattro anni dal buon album di cover “I Already Love You”, ecco rispuntare la sempre deliziosa Sara Lov, che con più ampio tempo a disposizione rispetto ai suoi primi due album da solista post Devics, propone questo “Some Kind of Champions”, a detta sua, più personale e maturo dei precedenti.
Il potenziale interpretativo di Sara sa raggiungere alte vette, soprattutto se supportato da ottimi testi e basi adeguate. La natura benevola e limpida di un’interprete come la Lov si contrappone a un vissuto difficile, un infanzia fatta di solitudine e abbandono, di separazioni e prese di coscienza. Ed è proprio nei pezzi come “Diamond of the Truest Kind” (un vero e proprio ritorno alle sonorità  dei Devics), “Rain up”, “Trains” e soprattutto la splendida “Willow of the Morning” (best track dell’album), che questo passato emerge, tra sussurri, dolore, solitudine e malinconia.

Nonostante questo si percepisce la voglia di andare avanti, sin dal pezzo d’apertura “Some Kind Of Champion” che dà  il nome all’album, di voler raccontare il percorso, la crescita, o semplicemente il fatto di avercela fatta. Eppure è proprio nei pezzi come questo, o nelle più ottimiste (ma affatto ottime) “Sumore” e “Sorrow into Stone” che Sara Lov rischia di toppare, sfibrando un album che perde in parte solidità  e atmosfera. Ci si trova ad ascoltare pezzi che si allineano più al sunshine pop degli She & Him di Zooey Deschanel che al dream pop a cui per la maggior parte del tempo questo lavoro appartiene, come se per brevi attimi Sara si risvegliasse da un torpore avvolgente, come se uscisse fuori dalla strada nebbiosa e ombrosa così accuratamente scelta, per sollevare il capo e cercare una luce, che in un album così notturno, certo non giova.

A parte questa piccola incongruenza di stile, dovuta più probabilmente alla voglia della Lov di continuare a dimostrare di essere completa e in grado di abbracciare generi differenti, sperimentare e reinventarsi, questo suo terzo album, che comprende tra l’altro numerosissime collaborazioni importanti tra cui Hauschka, Dustin O’Halloran, Scott Leahy, Ed Maxwell, Zac Rae, Cedric Lemoyne & Jonathan Price, riesce porsi ad un netto gradino superiore rispetto al passato, ma ahimè ancora ben lontano dall’eccellenza raggiunta negli album dei Devics, “The Stars At Saint Andrea”.