Alla fine è arrivato, il nuovo album degli Wavves. In modo assolutamente normale, senza il free download tanto minacciato dal frontman Nathan Williams qualche mese fa. Titolo essenziale: “V”, nel senso di disco numero cinque (con la lettera V gli Wavves hanno già  abbondantemente giocato in passato). Molto ripuliti e carichi il giusto, tirano fuori undici canzoni ironiche, divertenti e colorate. Ci sono band che non reggono il passaggio definitivo dalla bassa all’altissima fedeltà  e finiscono per snaturarsi diventando irriconoscibili, gli Wavves invece resistono piuttosto bene alla cura del pluripremiato produttore Woody Jackson (Beck, Primal Scream, Daniel Johnson) che li fa restare sempre scoppiettanti grazie a circa un migliaio di coretti ad alta cantabilità  ma li rende un po’ più viscerali che in “King Of The Beach” o Afraid Of Heights”.

“V” è orecchiabilissimo in “Heavy Metal Detox” e “Pony” in cui Williams si ricorda di essere un ex nerd fan di Pixies e Weezer, pieno d’energia in “Way Too Much” e “My Head Hurts” che sono puro power pop in pillole. C’è il furbo e vendibilissimo surf rock di “Heart Attack”e “Flamezesz”. C’è l’introspezione acida di “Cry Baby”. Manca un po’ della grinta garage, di quella sfacciataggine moolto lo-fi di quando Nathan voleva incontrare Dave Grohl? O la furia da esordiente allo sbaraglio di “California Goths” o “Lover”? Si inutile negarlo e viene da pensare a come sarebbe stata “All The Same” solo qualche anno fa, quando la pazza distorsione che macchia qualche momento di “Redlead”, il livore dei testi di “Tarantula” (chu wa chu wa a parte) o “Wait” erano la norma e non l’eccezione. Quando Williams sembrava sul serio un Jay Reatard meno sarcastico. Ma inutile anche lamentarsi, perchè gli Wavves hanno chiuso quel capitolo e voltato pagina già  da un po’.

Sono diventati una di quelle band capaci di tirarti su il morale sempre e comunque e di far spuntare il sorriso anche ai sassi e va bene così. Stavolta le canzoni sono state scritte modello brainstorming con Williams, Stephen Pope e Alex Gates che pare abbiano collaborato più che in passato. Il risultato è un sound più organico e gioioso (ma non è tutta roba felice Williams dixit), che renderà  la loro musica ancora più accessibile di quanto non sia stata finora. Al netto di isterie, screzi e litigate (promozionali?) con la Warner questo disco numero cinque dimostra che gli Wavves non hanno perso lo smalto, l’energia e quel pizzico di pazza allegria che li rende tremendamente cool. Cavalcano l’onda, sono e restano i re della spiaggia non solo ad agosto ma pure ad ottobre (del resto il mare d’autunno e d’inverno ha un suo fascino nascosto). Le altezze, di classifica e non solo, non gli fanno più paura ammesso che gliene abbiano mai fatta.