Gli otto minuti di applausi e standing ovation ricevuti a Cannes 2015 – dov’è stato presentato fuori concorso – e gli incassi record registrati in tutto il mondo (l’Italia è stata tra gli ultimi Paesi in cui è uscito) facevano ben sperare dopo che gli ultimi lungometraggi (“Brave – Ribelle”, “Cars 2” e “Monster University”) si consolidavano semmpre sugli ottimi standard per quanto concerne l’animazione, certo, ma privi di mordente, di quello scarto che l’aveva resa la casa di produzione più innovativa e d’avanguardia del cinema in generale e non solo per quanto riguarda il campo dell’animazione.
Sgomberando il campo da ogni dubbio, le premesse sono state mantenute e l’asticella della genialità  della casa di produzione, ora sotto l’egida di mamma Walt Disney, viene ulteriormente alzata. Merito ancora una volta di uno dei più talentuosi registi e sceneggiatori, quel Pete Docter già  regista di quei piccoli capolavori di “Monster & Co.” e “Up” nonchè autore e demiurgo del miglior film d’animazione di sempre – per il sottoscritto – che corrisponde al nome di “Wall-E”.

Partendo da una vicenda autobiografica familiare, Docter mette in scena ciò che lo rende speciale, ossia l’infilmabile, in questo caso addirittura le emozioni umane rendendole dei personaggi animati con caratteristiche e psicologie proprie immerse nel mondo magicamente reale della mente umana.
Un’acrobazia narrativa complessa e impervia che viene maturata e creata da zero in ben cinque lunghi anni di lavoro (spesso il progetto si era bloccato e rischiava di saltare all’aria) e grazie alla tenacia dei suoi produttori ci restituisce una cura per i dettagli computerizzati di forme, colori e sfumature concrete seppur impercettibili apparentemente (vedi la pelle delle emozioni umane) davvero notevole, una wonderland della psiche nella quale immegersi, perdersi ed emozionarsi verso il più classico degli homecoming di disneyana memoria.
Una sorta di “Se mi lasci ti cancello” declinato ad altezza bimbo che delizierà  forse maggiormente il pubblico adulto, che scava negli archivi della nostra memoria d’infanzia e nei meandri dell’inconscio con un’intensità  rara e coraggiosa.

Un racconto di formazione mai banale, ambizioso e che non disdegna la potenza della malinconia che in più punti fa capolino, sino all’elogio della tristezza.
Siamo dalle parti del capolavoro, se non fosse per qualche leggera perdita di ritmo nella parte centrale, che ci fa uscire dalla sala con tanti sorrisi, una lacrima asciugata poco prima sul viso e tanta gratitudine nel cuore. Bentornata Pixar!