#10) BROKE ONE
Reminiscence
[White Forest]

Scegliere solo un disco dall’incredibile quantità  di perle uscite dal panorama elettronica italiano, era un’impresa tutt’altro che semplice: ma la decisione non è soltanto personale (perchè l’album di Broke One guarda a un suono dai chiari riferimenti temporali di cui siamo entrambi, l’autore ed io, profondamente innamorati), ma anche etica.

In “Reminescence” non c’è solo un’enorme passione per le visioni elettroniche più fantascientifiche (e la perizia di saperle applicare), ma anche e soprattutto la capacità  di trasportarle nel presente e, con loro, un’attitudine di dedizione e concretezza di cui c’è assoluto bisogno.

#9) BJORK
Vulnicura

[One Little Indian]
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Dopo un paio di dischi irrisolti, in cui sembrava aver perso (almeno musicalmente) quello strettissimo legame con la contemporaneità  e quella particolarissima creatività  che le permetteva sempre di essere un passo avanti, Björk ho dimostrato ancora una volta i perchè della sua eccezionalità  con “Vulnicura”, un disco monolitico, in cui la collaborazione (sette tracce su nove) con il giovane Arca riesce ad esprimere al meglio l’intenzione di affrontare una tematica affatto facile come la disgregazione del proprio nucleo familiare.

#8) LE1F
“Riot Boi

[Terrible Records]

Il futuro è qui: pur seguendo Le1f già  da qualche anno, non mi convinceva appieno. Quasi che il personaggio prevalesse sempre sulla musica: invece con l’atteso esordio “Riot Boi” ogni dubbio viene spazzato via. Le liriche provocanti, l’immaginario kitsch, l’esibita identità  sessuale, tutto viene fuso con i beat dei producer più caldi del momento (Evian Christ, SOPHIE) in un amalgama che sa essere tanto divertente quanto pregnante di significati e riflessioni.

#7) MECNA
Laska
[Macro Beats]

Aveva tutti i riflettori puntati addosso Mecna: l’esordio del 2012 lo aveva eletto tra i migliori mc degli ultimi tempi, capace di battere strade personali, addirittura sentimentali, senza perdere mai una credibilità  costruita lungo gli anni con collaborazioni ed ep. C’erano stati poi la pubblicità  della Sammontana e l’approdo presso la Universal: Mecna era cosciente della pressione che lo attendeva e allora ha deciso, coraggiosamente, di spingersi e spingere l’hip-hop italiano ai suoi limiti e forse oltre.

“Laska” è un album che da solo riesce ad inventarsi un corrispettivo italiano, affascinante e solido, di quell’hip-hop virato soul ed elettronica (cazzo gente, sentitevi le basi) esploso oltreoceano negli ultimi anni: un disco che, lo avesse fatto Drake o qualche altro americano, sarebbe stato acclamato unanimemente senza alcuna remora.

#6) FRANCESCO PAURA
Darkswing
[Fullheads]

Non era certamente facile sfornare un nuovo disco dopo l’ottimo “Slowfood”, manifesto e coronazione della lunga carriera del napoletano Paura: eppure “DarkSwing” è un’opera ancora più grossa e ambiziosa, un album in cui le liriche del rapper partenopeo si dimostrano ancora una volta uniche per tecnica, lessico e pensiero e sono accompagnate da un tappeto sonoro sì dark, ma potente e avanguardista, probabilmente unico esattamente come il suo autore.

#5) RP BOO
Fingers, Bank Pads & Shoe Prints

[Planet Mu]

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Produrre qualcosa che suonasse anche solo similmente rivoluzionario come l’esordio “Legacy” poteva sembrare uno scoglio arduo da superare: eppure il producer di Chicago, verissimo pioniere footwork, è riuscito a perfezionare ulteriormente la propria ricetta, portandola verso ogni confine conosciuto. Trovatelo un disco altrettanto spastico ed insieme geniale.

#4) KENDRICK LAMAR
To Pimp A Butterfly

[Aftermath/Interscope]

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Non è sul podio, ma è indubbio che questo secondo lavoro di Kendrick Lamar sia uno dei dischi più importanti e significativi di questo 2015: un’opera che travalica il proprio autore e si fa narrazione, ritratto di una società  e dei suoi conflitti. E, nel farlo, non rinuncia al groove, non sacrifica mai la musicalità  sull’altare del messaggio: anzi, contenuto e contenitore si completano a vicenda, in uno splendido romanzo funk.

#3) BENJAMIN CLEMENTINE
At Least For Now
[Behind]

Già  al primo ascolto, a gennaio, era scontato che l’esordio di Benjamin Clementine fosse uno dei dischi dell’anno. Rimane il sospetto che sia un prodotto artefatto, realizzato nei laboratori marketing, ma “At Least for Now” vince su ogni campo: la splendida voce del giovane busker londinese, una storia romantica e una manciata di canzoni, dieci, che possono solo essere definite perfette, così rotonde e travolgenti.

#2) LARRY GUS
I Need My Eyes
[DFA]

Anche se greco di origini e nonostante incida per la famosa etichetta newyorchese, Panagiotis Melidis viene solitamente considerato tra i producer italiani più interessanti: abbiamo accolto con onore e soddisfazione la sua chiamata alla penultima RBMA Accademy, un’esperienza la cui importanza si riflette che gli ha permesso di superarsi con questo “I Need New Eyes”, meraviglioso e perfettissimo approdo di quella poetica tra straniamento e stupore che da sempre accompagna Larry.

#1) IOSONOUNCANE
DIE

[Tannen]

è stato un anno importante per la musica italiana, talmente fruttuoso che ho lungamente meditato sulla possibilità  di compilare una top-ten esclusivamente made in Italy: ci sarebbero state forzature e dischi, come quello di Kendrick, sarebbero ingiustamente rimasti fuori, così ho preferito evitare. Dunque la mia top-ten non è totalmente nostrana, ma continua ad esserlo in maniera rilevante e quale disco poteva meglio rappresentare quest’anno di grazia per i musicisti dello Stivale? In Die di Iosonuncane c’è tutto quello che amo: dal cantautorato seventies più coraggioso (certo Battisti, ma anche Dalla e Battiato) all’elettronica più contemporanea, dai riferimenti al prog italiano ad un rilettura, più accessibile, di tutta la faccenda dell’italian occult psychedelia.
Contemporaneamente un punto d’arrivo e una nuova partenza.