We’re Arctic Monkeys and this is ‘I Bet You Look Good on the Dancefloor’ – don’t believe the hype.

Questo l’esordio di Alex Turner durante un live, registrato ed usato poi come videoclip, per il primo singolo della band, appunto “I Bet You Look Good On the Dancefloor”. Era il 2005, io avevo 16 anni e a maggio di quello stesso anno, NME aveva incoronato gli Arctic Monkeys come la band più importante della nostra generazione sbattendoli in prima pagina. Beh, l’hype a cui Turner si riferiva era proprio questo.
L’attesa per l’uscita di questo album era frenetica nel Regno Unito così come del resto del mondo. Attesa generata da una manciata di demo e dal loro primo EP “Five Minutes With Arctic Monkeys, che da soli erano riusciti a smuovere la scena brit e indie rock in generale, rimasta intorpidita da diverso tempo, ferma ai Libertines di Doherty o a gruppi che rifacevano il verso agli Strokes senza però destare l’attenzione o far sì che l’ascolto penetri l’apparato uditivo, lasciando traccia nella memoria dell’ascoltatore.
Agli Arctic Monkeys, poco più che adolescenti, si deve proprio questo. Oltre a una novità  stilistica e quindi sonora, erano uno di quei gruppi che ti facevano venir voglia di mettere su una propria band.

Fa sorridere come poi Alex Turner fa iniziare il disco: Anticipation has a habit to set you up/For disappointment. Come a dire, io vi ho detto di non farvi trasportare dall’hype, ma se proprio dovete sappiate che potreste restarci male.

Sostanzialmente gli Arctic Monkeys non fanno che mixare saggiamente compenenti proprie di alcune delle più influenti band britanniche, andando indietro nel tempo trasversalmente e pescando l’essenza dei Kinks, passando al punk rock dei Sex Pistols, allo spirito degli Smiths, per arrivare al groove degli Stone Roses o agli inni degli Oasis. Il tutto condito da un sopraffino spirito di osservazione e umorismo contestualizzato per l’occasione sul clubbing. Vivono in prima persona e studiano i comportamenti dei loro coetanei e della club culture dello Yorkshire.

I testi sono così sintetici e diretti, che potremmo pensare anche ad un arco temporale, indicando l’inizio e la fine con un venerdì sera mentre si fa il giro dei pub prima di andare a ballare, per finire all’alba di un lunedì mattina. La vena disillusa di Turner sembra fare un corpo unico e e allo stesso tempo discopico con le chitarre invece decise e predominanti durante tutto l’album.
Il ritmo è frenetico e incalzante di traccia in traccia durante i brani che prendono vita all’interno dei club: “I Bet You Look Good on the Dancefloor”, “Still Take You Home”, “You Probably Couldn’t See for the Lights But You Were Staring Straight at Me” e “Dancing Shoes” possono essere considerati dei veri e propri trattati sul comportamento umano in quel determinato ambiente, e della maschere create ad hoc per l’occasione.

Non mancano gli intervalli di riflessione sentimentale, accentuati da un cambio di stile, l’arroganza si fa amabile ballata in brani come “Riot Van”, “Mardy Bum” e ” A Certain Romance”.

Oh there’s a very pleasant side to you | a side I much prefer, | it’s one that laughs and jokes around. | Remember cuddles in the kitchen, | Yeah, to get things off the ground | and it was all up, up and away. | Oh, but it’s right hard to remember that | on a day like today when you’re all argumentative | and you’ve got the face on. (Mardy Bum)

Il disco non porta a casa solo una cariola di hype ma anche 6 dischi di platino, di cui 5 nel solo Regno Unito e altri 4 dischi d’oro sparsi per il mondo. Oltre a battere il record del maggior numero di vendite nella prima settimana nella storia musicale britannica, con 360.000 copie vendute.
Nel 2006 fu insignito anche di un Mercury Prize.
Nel 2013 Rolling Stone stilando la classifica dei 100 migliori album di debutto della storia l’ha posizionato al numero 30. NME, anche per cementificare il concetto espresso nella copertina di cui sopra, lo posiziona al gradino 19 della classifica dei 500 migliori album di tutti i tempi.

“Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not” è un album generazionale e a distanza di 15 anni lo si sente ancor di più.

Data di pubblicazione: 23 Gennaio 2006
Registrato: Giugno-Settembre 2005
Tracce: 12
Lunghezza: 40:56
Etichetta: Domino
Produttori: Jim Abbiss, Alan Smyth

Tracklist:
1. The View from the Afternoon 3:38
2. I Bet You Look Good on the Dancefloor 2:53
3. Fake Tales of San Francisco 2:57
4. Dancing Shoes 2:21
5. You Probably Couldn’t See for the Lights But You Were Staring Straight at Me 2:10
6. Still Take You Home 2:53
7. Riot Van 2:14
8. Red Light Indicates Doors Are Secured 2:23
9. Mardy Bum 2:55
10. Perhaps Vampires is a Bit Strong But… 4:28
11. When the Sun Goes Down 3:20
12. From the Ritz to the Rubble 3:13
13. A Certain Romance 5:31