Ogni volta che esce un nuovo film di Tarantino, quindi escludendo il suo primo film “Le iene” che ci presentava un regista sconosciuto questa è la settima volta, si apre un feroce dibattito sul suo modo di fare cinema. Fazioni di estimatori e denigratori litigano animosamente per elogiare o sotterrare il film oggetto della discussione. Per via della violenza, delle citazioni e di molte altre cose. Forse questo tipo di cose succede solo ai grandi registi, ai grandi artisti, quelli che si amano o si odiano, senza nessuna sfumatura.

Non è ovviamente escluso il suo ultimo film “The Hatful eight”, ottava fatica del regista di Knoxville che racconta la storia di otto personaggi che per colpa di una bufera imminente sono obbligati a condividere un tetto. Un emporio per la precisione che sarebbe di Minnie ma di Minnie non vi è nessuna traccia. Lo spazio è limitato e tutti i personaggi hanno un motivo più o meno grande per odiare gli altri. Tra di loro c’è solo una donna, Daisy Dormergue, interpretata magistralmente da Jennifer Jason Leight, che è il punto centrale su cui ruoterà  la storia. è una donna tosta, come quasi tutte le donne nel cinema di Tarantino, ed è condannata alla forca per omicidio, una ricercata su cui pende una taglia di 10.000 dollari. La trama nel suo complesso potrebbe persino essere definita semplice ma l’abilità  del regista sta proprio nella creazione della giusta tensione che dura fino al momento in cui il film non esplode. Ogni tanto, aiutato anche dalla colonna sonora imponente scritta apposta da Morricone per questo film, riesce a illudere lo spettatore che qualcosa succederà  a breve. I dialoghi sono lunghi, dilatati nel tempo. Un Tarantino più riflessivo forse, dirige un film che va a passo d’uomo e poi esplode in un breve lasso di tempo spiazzando lo spettatore. La violenza c’è, come di consueto, ma non è particolarmente esagerata.

Se avete visto “Kill Bill volume 1” potete tranquillamente sopportarla, altrimenti preparatevi a chiudere gli occhi di tanto in tanto. E poi a volte sa essere esagerata e quindi irreale. Si è parlato di film politico, effettivamente di fondo c’è una fetta di storia americana, la fine della guerra civile americana reinterpretata da Tarantino, come era successo per la seconda guerra mondiale in Bastardi senza gloria, senza nessuna pretesa di voler insegnare qualcosa ma presa come spunto per far muovere e compiere azioni ai suoi folli personaggi. Il film cronologicamente si colloca tra “Django Unchained ” e il film di Scorsese “Gangs of New York”. Secondo il regista le radici degli statunitensi sono pregne di violenza ma in essa qualcuno riesce ad avere persino una morale e sarà  proprio quella morale a mettere le basi di una società  moderna e (quasi) democratica, o forse no. “The Hateful eight” è quasi teatrale, recitato magistralmente da tutti i suoi interpreti, tra tutti un Samuel L. Jackson in stato di grazia e da un Walton Goggins che sorprende piacevolmente per la caratterizzazione del suo personaggio. Completano il quadro Tim Roth, Michael Madsen e un Kurt Russell che sembra davvero uscito da quei tempi.

La regia è eccelsa, sin dai titoli di inizio film, con immagini possenti e ogni scena sembra essere perfetta. Sicuramente non è il miglior film di Tarantino perchè meno immediato degli altri. è come un whiskey invecchiato da sorseggiare lentamente con un bicchiere di acqua di fianco per diluirlo e farlo durare il più a lungo possibile.