Chi fremeva per un ritorno col botto, ahinoi, rimarrà  deluso.
M83 sono quel prodigio in grado di sconvolgere la scena nel 2011, quando il doppio disco “Hurry Up, We’re Dreaming” portò – finalmente e meritatamente – il progetto di Anthony Gonzalez alle luci della ribalta. Un lustro è già  trascorso, dai fasti di “Midnight City”, roboante singolone synth-pop che rimane ad oggi uno degli esempi più brillanti di un certo tipo di produzione musicale. Fu il momento, quello, del vero breakthrough per il progetto di base a Los Angeles ma le cui radici affondano sulle alpi marittime di Antibes, Francia. Si, perchè dopo una buona decina d’anni di sperimentazioni e brillanti album come “Dead Cities, Red Seas & Lost Ghosts” e “Saturday=Youth”, M83 spiccarono il volo decisivo, abbracciando le passerelle di Victoria Secret e divenendo una realtà  di caratura mondiale.

Eccoli qui, cinque anni dopo, con “Junk”, a spezzare un quinquennio di silenzio, se escludiamo alcuni lavori su colonne sonore, “Oblivion” e “You And The Night”, entrambe datate 2013. Il nuovo lavoro esce dopo una prima fase promozionale, in cui la band si è divertita a giocare a nascondino tra Spotify e social media, rilasciando qualche boccone qua e là . “Do It, Try It”, ad esempio, è il civettuolo singolo di lancio, efficace abbastanza da ritagliarsi un meritato posto d’onore sulle frequenze radiofoniche. è un pezzo dai tratti un po’ acidi, dove a un basso slegato si alterna un piano elettrico un tantino ruffiano. Si, perchè l’impressione che si ha di questo nuovo album di M83 è fin da subito di un lavoro che ha delle basi discretamente abbozzate, ma dove manca carattere. Non c’è un filo rosso con il precedente lavoro in studio e, forse, è questo l’obiettivo di M83: cancellare la memoria e riempire il tutto con roba nuova.

La dimensione un po’ catchy di questo “Junk” si conferma con “Go!”, pezzo pop dalle melodie facilmente assimilabili, dove Mai Lan – artista indie pop francese – supplice momentaneamente l’assenza di Morgan Kibby, da poco uscita dalla band. Segue una serie di momenti un po’ autoreferenziali e mielosi (“Walkway Blues” e “Bibi the Dog”), con la strumentale “Moon Crystal” a ricordare un incrocio tra un disco degli Abba e una soundtrack da serie televisiva anni ’80. Manca il ritmo, mancano velocità  e – soprattutto – freschezza, un ingrediente che aveva fatto di “Hurry Up, We’re Dreaming” una piccola antologia di ricercatezza. M83 vanno a incanalarsi in un binario un po’ morto, insomma. La splendida voce di Susanne Sundførd riscalda l’atmosfera nella malinconica ballata “For The Kids”, dove un intermezzo di sax regala note distese e un’atmosfera da cena al lume di candela, ma non basta.

“Superficiale” è l’aggettivo che calza al meglio, a parere di chi scrive, per descrivere “Junk”, un lavoro che doveva apparire acceso e pungente ma che scema nell’anonimato ben prima del giro di boa dei suoi 55 minuti di synth-pop. Da notare c’è ancora Mai Lan, che regala la propria voce alle ritmiche pop di “Laser Gun” e, in lingua francese, all’ennesima melensa ballata “Atlantique Sud”. C’è ancora il tempo per un piccolo sussulto in vecchio stile M83, quella “Sunday Night 1987” che fa da chiusura – fin troppo morbida – tra pianoforte e fiati, con il cantato in lontananza.

Rimane ben poco, di “Junk”. Un disco che, così su due piedi, appare vuoto, senza la dovuta personalità . Difficile da far attecchire a un mercato che, nel settore, ha prodotto tantissime sorprese negli ultimi anni (e di cui M83 sono stati ispiratori assoluti, dobbiamo dirlo), oppure lavoro realmente povero di contenuti? Difficile trarne una conclusione che metta tutti d’accordo, il tempo parlerà  più chiaro. Certo è che, dopo i fasti di “Midnight City”, da Anthony Gonzalez e soci ci si attendeva ben altro.

Credit Foto: Ella Herme