We are Beach Slang and we are here to punch you heart!
Inizia così, in un locale vecchio stampo con addosso tutti i segni del tempo, un’altra di quelle serate da riporre nel cassetto dei ricordi più belli. Inizia senza aspettative, perchè al di là  della curiosità  di vedere dal vivo una band che mi aveva colpito su disco, c’era la scusa di un altro live in una tiepida serata londinese. Per di più, in una nicchia nascosta e permeata di essenze indie, con quel pizzico di nostalgico punk rock che ha scombussolato migliaia di esistenze.

Dingwalls è un caratteristico locale a fianco di Camden Lock, uno dei luoghi più cari a questa città , dove sono transitati artisti destinati a diventare mostri sacri. Blur, tanto per fare un nome, i quali legarono la propria storia anche a questa venue. Lo raccontano alcuni aneddoti di sbronze colossali prese sul palco, e schiaffi rimediati dall’intransigente security. Chapeau.

A qualche decennio dai quei prodomi di Britpop, Beach Slang sono gli ospiti d’onore di questa serata di inizio Giugno. Arrivano freschi dal Primavera Sound a Barcellona, giusto all’inizio della leg UK del loro tour. Americani di Philadelphia, la formazione annovera James Alex Snyder (vecchia, navigata conoscenza dei Weston, band 90s in chiave emo/punk), Ed McNulty, JP Flexner e Ruben Gallego. Due EP, un album all’attivo e un altro in cantiere ““ sotto l’egida di Polyvinyl Records ““ eccoli sul palco, a portare le loro chitarre, voci sporche e un suono un po’ polveroso come meglio si addice al loro genere. Mi piacciono, cazzo si, perchè sono un tuffo nel passato, nell’universo che fu di gentaglia del calibro di Jawbreaker, Sense Field oppure Sunny Day Real Estate della metà  anni ’90 (quando se ne uscirono con quel capolavoro che fu “Diary”). I ricordi sono in fila ordinata, solo in chiave più punk, e sognatrice nel contempo.

La scena è tutta loro, dopo un corposo anticipo firmato Deadcuts (Jerome Alexandre, Joseph Johns, più Mark Keds e Cass Browne ““ entrambi ex Senseless Things), Weaves (canadesi di Toronto, una voce soul in un quadro garage, nè riparlerò perchè meritano), Muncie Girls (punk rock più grezzo). I pezzi sono brevi, incalzanti, in una setlist che include, tra le altre, le brillanti “Dirty Cigarettes”, “Punk or Lust” e “Filthy Luck”, in mezzo alle loro perle “All Fuzzed Out” o “American Girls and French Kisses”. C’è anche la semi-acustica “Too Young to Die” che fa schizzare il quadro emozionale a livelli di allerta.

Qualche centinaio di anime a cantare, tra pogo adrenalinico e crowd-surfing, scossi dalle vibrazioni di Alex e soci, poi il colpo di scena. Abbiamo tra noi un paio dei grandiosi Senseless Things, urla Alex. Eccoli salire sul palco allora: chitarra, batteria e voce ““ Ben Harding, Cass Browne e il già  citato Mark Keds degli attuali Deadcuts, quest’ultimo con un fisico visibilmente provato da anni di eccessi alcolici (e non solo). Per qualcuno sono solo una pagina di storia dimenticata, ma io sono estasi e quando parte “Too Much Kissing”, quasi impazzisco. Beach Slang hanno di recente lavorato a una cover di questo pezzo, inclusa in “Here I Made This For You (Beach Slang Mixtape Vol. 1)”, compilation di cinque rivisitazioni che campeggia oggigiorno su Spotify.

Il resto vola via in un baleno, con la cover dei The Replacements, “Bastard of Young”, a rappresentare la ciliegina sulla torta. Alex e soci mi avevano incuriosito all’ascolto dei loro lavori in studio, eccoli sorprendermi con un set di intensità  pazzesca e punk rock come non ne sentivo da tempo. Si fa un gran parlare di questa quarta ondata emo, di post-emo, di nuovo punk rock e così via. Poco importano le etichette, quando c’è musica vera. E questi quattro ragazzi sanno come suonarla. Torno a casa sudato, felice e con un po’ di nostalgia addosso, acuita anche da quella t-shirt dei Penfold indossata da un ragazzo a due passi da me. Il tutto in una notte di inizio Giugno in cui mi sento ancora ragazzino.