Non ci si crede ma anche “Odelay” di Beck ha vent’anni. Cifra tonda. Non li dimostra. Anzi non dimostra neanche un secondo in più di quando è uscito, il diciotto giugno 1996, atterrando come un’astronave impazzita e colorata tra mille altri cd amici suoi. Con quella copertina assurda tutta da interpretare: ma cos’è? Un cane. Ungherese e di rara razza Komondor. Foto scelta apposta per incuriosire e confondere da un Beck Hansen impegnato in una disperata corsa contro il tempo per rispettare quei protocolli discografici a cui era sempre stato allergico. Leggenda vuole che a trovare la foto incriminata sia stata la ragazza di Beck all’epoca, Leigh Limon, in uno stiloso libro illustrato della fotografa Joan Ludwig. Chissà  forse Beck si immedesimava in quella felice palla di pelo bianco, l’outsider a quattro zampe per eccellenza. Perchè anche lui in fondo era e rimaneva una voce fuori dal coro, uno che stava ancora provando a capire come smaltire l’onda lunga del jet lag di “Loser” senza perdere la testa.

“Odelay” è l’album di un artista sopraffino che non aveva intenzione di rassegnarsi al destino di one hit wonder ma voleva continuare a scavare, a cercare, ad ascoltare e digerire musica presente e passata come un novello Alan Lomax. Un album dalla nascita difficile e travagliata, iniziato nel 1994 (noto anche come l’anno più produttivo di Mr. Hansen) e finito due anni dopo tra cambi di produttori e ripensamenti vari. Prima doveva essere interamente acustico e poi è diventato altro grazie a una preistorica versione di Pro Tools, a un amplificatore da 20 watt (rotto), a un walkie talkie e all’apporto di gente come Mario Caldato Jr e i The Dust Brothers (Mike Simpson e John King). Quello di “Odelay” è un Beck libero, che urla e si contorce creando un mondo pazzo e esagerato. Frullando di tutto tra le note dello spartito Secondo Hansen in un taglia e cuci infernale: rap, blues, rock, hip hop, bossa nova e funk. Passando dall’Africa alla California a Compton ai sette mari ai Tropici all’India in un secondo. Meglio del teletrasporto di Star Trek. “Odelay” è una radio impazzita. L’album perfetto per giocare a indovina il sample e se uscisse oggi sarebbe la disperazione di tutti quelli che usano Shazam.

Beck l’ha ammesso candidamente: io scrivevo gli accordi e le melodie, poi condivo il tutto con qualsiasi disco stesse girando sul piatto e in studio. Pillole di Them, Joe Thomas e Mike Millius, Schubert, il garage di “I Can Only Give You Everything” e via discorrendo quando ancora si poteva citare la musica altrui senza dover sborsare cifre abnormi e senza dover andare in giro con un plotone di avvocati per difendersi dalle accuse di plagio. Che tempi. Tra uova, neonati e ossa Mr. Hansen lo diceva chiaramente nel retro copertina: “Je suis un revolutionaire“. Rivoluzionario, ladro gentiluomo, geniale scavezzacollo, meticcio come quel Komondor a cui tanti ragazzini si divertivano a disegnare la faccia per scherzo. Vent’anni e due Grammy dopo “Odelay” suona ancora bene. Piccola nota a margine: lo sapete chi era che diceva “Let’s Make It Out baby” in “Where It’s At” ? Un certo Eddy, un pazzoide che ogni tanto capitava in studio. Dicono costruisse auto personalizzate super accessoriate tipo quelle di Batman. E nonostante questo non riusciva a limonare e neppure a farlo strano “…

Beck ““ “Odelay”
Data di pubblicazione: 18 giugno 1996
Registrato: 1994-1996 ai Silver Lake Hills Studios (California)
Tracce: 13
Lunghezza: 54:13
Etichetta: DGC / Bong Load Custom
Produttori: Beck Hansen, The Dust Brothers, Mario Caldato Jr, Brian Paulson, Tom Rothrock, Rob Schnapf

Tracklist:
1. Devils Haircut
2. Hotwax
3. Lord Only Knows
4. The New Pollution
5. Derelict
6. Novacane
7. Jack-Ass
8. Where It’s At
9. Minus
10. Sissyneck
11. Readymade
12. High 5 (Rock the Catskills)
13. Ramshackle