I giorni, le settimane prima che uscisse, tra estimatori e addetti ai lavori la domanda attorno al nuovo album di Paul Simon era più o meno la stessa: sarà  come “Graceland”? Ci saranno echi di “Me And Julio Down By The Schoolyard”? Sarà  in stile Simon & Garfunkel? Domande destinate a cadere come un castello di carte al primo ascolto vero di quello che si rivela come un altro (l’ennesimo) lavoro originalissimo e spiazzante del grande cantautore di Newark. Un album, Stranger to Stranger, a cui hanno collaborato Roy Halee ““ amico di vecchia data, con lui fin dall’esordio con Simon & Garfunkel ““ e il producer toscano Cristiano Crisci aka Clap! Clap!, consigliato a Simon dal figlio, che ne è fan accanito. Come guida spirituale, poi, c’è Harry Partch, compositore statunitense al quale si devono diverse sperimentazioni come le composizioni su scale microtonali (usando intervalli più piccoli di un semitono) dividendo ogni ottava in 43 toni, invece che nei canonici 12. Insomma, una bella miscela di intuizioni questo tredicesimo lavoro in studio di uno degli artisti più longevi e sicuramente originali del panorama internazionale.

I dubbi sulle possibili assonanze di “Stranger To Stranger” rispetto ad altro si sciolgono al primo ascolto. Paul Simon riesce infatti a produrre qualcosa di estremamente interessante e diverso rispetto ai lavori precedenti e rispetto (anche) alla maggior parte dei dischi che si trovano in giro. Molteplici sono i ricorsi agli strumenti musicali, anche poco noti, come l’indiano gopichand (“The Werewolf”), il Chromelodeon (“Insomniac’s Lullaby”) e altri strumenti a fiato, spesso africani, percussioni peruviane, quartetti gospel, corni e sintetizzatori. Poi ci sono naturalmente i testi, che virano dal bizzarro (“Wristband”, “Insomianc’s Lullaby”) al velatamente tragico (“The Werewolf”, “The Riverbank”); in altri c’è la gioia (“Street Angel”, “In a Parade”, “Cool Papa Bell”) in altri ancora un romanticismo struggente (“Stranger to Stranger”, “Proof of Love”). Quel che è certo è che in ogni brano Paul Simon dà  la sensazione di voler uscire dalle convenzioni, allontanandosi da refrain melodici ammiccanti e conservando l’approccio sonoro fondamentalmente world music.

Il disco apre con “The Werewolf”, il cui suono richiama le atmosfere di “Graceland” e “The Rhythmn Of The Saint” di quattro anni dopo. Ma è solo un’illusione perchè il resto del disco recupera soltanto in parte quel sound. La voce però è la sua, inconfondibile e magica, e le ballate sono alla sua maniera, delicate e morbide, e soprattutto superbamente arrangiate senza neanche una nota fuori posto.
“The Clock” e “In The Garden of Edie” (dedicata alla moglie Edie Brickell) sono interludi musicali che servono essenzialmente a dare respiro alle altre tracce, permettendo all’ascoltatore di staccare per un attimo dal flusso delle parole. Per il resto nella track-list si susseguono ritmi alternati: i primi tre brani (“The Werewolf”, “Wristband” e “Street Angel”) si fondano sulle invenzioni elettroniche di Clap! Clap!, con tappeti di suoni, effetti, battimani, contrabbasso e batteria. La title-track “Stranger to Stranger” è invece una ballata romantica con chitarra e strumenti a fiato a disegnare un’atmosfera dolce e struggente. Il ritmo di “Street Angel” ricorre in “In a Parade”, alla quale segue una seconda ballata, “Proof of Love”, più eterea e della precedente, con tappeti scintillanti di sitar, dobro, fiati e cori. E come non amare infine The Riverbank, che è un piccolo capolavoro, con la coppia chitarra-violoncello che utilizza come sezione ritmica il battito delle mani.

Il disco è subito schizzato in testa alle classifiche inglesi facendo di Paul Simon il solista più longevo a salire così alto nelle music charts. Ma a prescindere dai numeri delle classifiche, è il disco in sè, il materiale di cui è fatto e il modo in cui questo materiale è arrangiato, a dirci quanto questo baldanzoso giovincello ““ a quasi 75 anni ““ resti ancora uno degli artisti più ispirati nell’universo pop internazionale.