Vita, opere e virtù di Peter Woodhead, alias Peter Hook, soprannominato Hooky dai suoi “affezionati” concittadini mancuniani, si può riassumere in poche interessanti tappe.

In gioventù è quello con il basso, in piedi alla sinistra di Ian Curtis, nei Joy Division. Realizzano un primo album, “Unknown Pleasures”, con il quale creano l’unica soluzione sonora, salvo poi essere chiamata post-punk, capace di spellare il movimento punk. Non fosse stato per il precoce/atroce addio di Ian nessuno avrebbe potuto detronizzarli almeno fino a metà  degli anni ottanta. E l’uscita di Closer ne è la dimostrazione lampante. Soprattutto per merito della scomparsa del cantante, come da manuale del rock, i Joy Division vengono glorificati attraverso le classifiche, poi presi e poggiati nel sacrario della musica mondiale.

Loro, neanche il tempo di godersi la fama, si ritirano per deliberare e si ripresentano sulla scena musicale con il nome di New Order alcuni mesi più tardi. Scrollatisi di dosso i ricordi legati alla prima formazione, negli anni ottanta diventano nel Regno Unito il punto di riferimento nel genere alternative rock/new wave.
Nel decennio successivo Peter Hook è sulla lista nera della città  di Manchester. In pratica tutti i personaggi famosi in città  appartengono a tale lista e, non si sa perchè, vengono additati come raccomandati, disonesti e rottinculo. Forse lo sono davvero. Il tutto mentre Hooky vende milioni di dischi e fa il garzone di Tony “Mr. Factory” Wilson tra l’Hacienda e Granada TV.
Poi nel 2007 arriva l’addio alle armi dopo uno scontro professionale con Sumner, l’amico di sempre. I New Order si sciolgono per poi ritrovarsi nel 2011 senza Hook che, all’oscuro di tutto, s’incazza di brutto rilasciando interviste infuocate contro gli ex compagni. Ma Hooky cosa aveva fatto nel frattempo ? Nel 2010 aveva messo insieme alcuni musicisti e iniziato una serie di concerti nel quale suonava interamente, a titolo di omaggio, i primi due album dei Joy Divison senza prima consultare coloro con il quale condivide il copyright. Questo è quello che accade ancora oggi.

Per lo show giuliese tutto è partito da una splendida iniziativa seppur dovuta a circostanze assai tristi. L’evento è stato concepito da genitori e amici di Lorenzo, un ragazzo di 21 anni scomparso qualche anno fa e grande fan di tutte le band nelle quali Hook ha messo le mani. Quale miglior modo per ricordarlo? Ben speravano le circa mille persone intervenute, tra fans e curiosi. E in effetti il live di quei cinque sul palco, che in molti hanno definito la miglior cover band dei Joy Division che si potesse sperare, ha dato buoni frutti. Peter Hook ha ristudiato la parte alla perfezione. 120 minuti sono stati anche piuttosto abbondanti per non distrarre spesso i presenti durante l’ esecuzione lugubre e melanconica di alcuni pezzi, sebbene straordinari, come “New Dawn Fades” o “Decades”. La suggestiva Atmosphere che ha aperto le danze è stata invece dedicata a Lorenzo che ha virtualmente assistito al concerto attraverso una gigantografia della sua immagine posta a fronte palco.
Nel corso dei primi pezzi alcuni problemi tecnici hanno coinvolto il bassista del gruppo. Verrebbe da chiedere: Hanno fatto innervosire Peter Hook? No, perchè il nostro Hooky aveva il suo basso Gibson appeso al collo per sventolarlo e sgrullarlo come un fosse un oggetto fallico. Quando suonava lo faceva anche molto bene. Ogni tanto però, perchè mentre cantava, di suonare il suo strumento non se ne parlava nemmeno. Neanche quando, per problemi tecnici di cui sopra, l’altro bassista, quello vero, Jack Bates, cioè suo figlio, ha dovuto smettere di suonare nel mezzo di due pezzi.

Assistere ai tonfi che i due riuscivano a modellare all’unisono è stato però sorprendente. Un muro sonoro impenetrabile che non lasciava neanche le briciole ai colleghi di palco ma che ammagliava la folla.
Il mio orgoglio ad ogni modo è per quei sessantenni, non molti in realtà , che si sono agitati per tutto il set a ritmo e nel nome di Ian Curtis.

Credit Foto: Paul Hudson from United Kingdom / CC BY