L’importanza personale di un album io la riesco a capire soprattutto dall’incidenza che questo riesce ad avere nella ritualità  della mia vita.
Ora, per quanto il mio avvicinamento a “Screamadelica” sia relativamente recente posso dire che ha assunto un ruolo di netto protagonismo.
Esistono momenti, per me ben definiti, in cui non posso fare a meno di ascoltarmi tracce di questo piccolo gioiello.
Così ogni volta che parto per un viaggio mi ascolto “Movin’ On Up”, sempre sulla navetta che porta in aeroporto, perchè l’incidere del piano mi annuncia per la prima volta la consapevolezza e le possibilità  che mi si aprono ed acceca definitivamente ogni timore che per sua natura è indissolubilmente legato ad ogni partenza.
I cori gospel che mi riempiono le orecchie nello spazio di ogni ritornello ed in chiusura del brano sono lo spettro di un orizzonte che si spacca lasciando intravedere qualcosa di straniero e contaminato.
Così, sempre in viaggio, non appena l’aereo si assesta sulle sue migliaia di metri e spiccioli la prima cosa che faccio è ascoltarmi “Come Together”: con quel suono di organo che va in loop, la voce che declama e la sirena in apertura, su cui poi si installano le percussioni e tutto il resto.

Non so perchè, ma credo che sia un impulso natomi dal senso di magnificenza ed ordine che si sviluppa in me quando guardo fuori dal finestrino: tutto è così sconfinato, come i tempi della canzone, ma così ragionato e puntuale, come l’incidere del brano.
E poi finisce sempre che io sono sopra le Alpi e la canzone viene elevata (ancora) dal gospel ed io di nuovo vedo la contaminazione e la novità  che mi vengono incontro, ma con dei contorni molto più definiti, visti da così in alto.
Per finire, anche se ci sarebbero tanti altri piccoli riti ed altre fisse, c’è la canzone del sole, niente a che vedere con Battisti eh, solo la canzone che mi ascolto quando esce il primo sole caldo a Bologna. Quella che mi ascolto ogni giorno che vado al mare, durante il tragitto in bicicletta. “Loaded”, cioè l’estrema naturalezza delle cose belle.
Il calore delle percussioni, la chitarra languida, la gioia sguaiata dei fiati ed il sommesso ordine del piano ed ancora la cassa dritta del dj e la pennata sulle corde che diventa potente e rabbiosa.
Sono troppi elementi per non finire annullati dal sole di mezzogiorno, che è afoso e severo ma ugualmente anticamera di un giorno di incuranza sulla sabbia.

Ora, capisco che l’intro possa risultare fuorviante e fuori fuoco ma penso che parlare di “Screamadelica” dei Primal Scream da un punto di vista puramente storico sia perfettamente inutile dal momento in cui lo hanno fatto già  in molti e questi molti sono molto più talentuosi di me.
Ancora, dirvi che è riconosciuto da tutti come è un capolavoro è assolutamente superfluo perchè lo leggerete ovunque.
E poi, il motivo per cui è considerato da tutti uno dei miracoli degli anni ’90 è così lampante che mi vergognerei pure ad indicarvelo per l’ennesima volta: la grande bellezza in cui si incontra il rock più sposto con l’acid house e dub dei club. Per la prima volta. Ed è una figata.

Ora, ancora però non ho spiegato il senso dela mia introduzione.
Se ci fate caso, nelle mie ritualità , la necessità  di ascoltare una traccia di “Screamadelica” nasce sempre da situazioni di contrasto: come tra opportunità  e timore, ordine e sconfinatezza, afa e spensieratezza.
Uno va oltre la superficie e si fa due conti in tasca e capisce (capisco, nel caso) che il motivo sta proprio nella condivisione della situazione del vissuto e del narrato.
O, in parole più asciutte e migliori, la natura contrastante di “Scremadelica”.
Uno pensa al rock ed alla house come due cose completamente differenti ed inconciliabili e forse non sa che Bobby Gillespie, esattamente venticinque anni fa, ci ha dimostrato il contrario.
Che gli opposti si attraggano non è necessariamente vero ed è una frase fatta, bella e buona. Al contrario, quello che si legge attraverso al capolavoro dei Primal Scream è che la convivenza è possibile attraverso un lavoro minuzioso di reciproche contaminazioni che conduca ad una terza via tra i due mondi. Insomma non un fatto di attitudine ed istinto ma una mediazione tra le due sfere.

La musica in questo senso diventa anche politica, non nel senso becero e semplicistico di chi usa il messaggio per pubblicizzare la mediocrità  delle proprie composizioni ma dal momento in cui attraverso l’arte riesci a dimostrare qualcosa che ha ricadute anche nella tua vita.
In questo senso “Screamadelica” è stato un gran maestro per me, nel dimostrarmi la bellezza ma l’estrema difficoltà  e competenza (e talento) necessari ed identificanti alla e nella risoluzione di un contrasto.

Questo LP però per me è importantissimo nella misura in cui dimostra quanto sia magico quando che la musica si abbassa a parlare la lingua del proprio tempo.
In una dimensione completamente diversa e remota (cioè gli anni ’90) esisteva il rock che era una cosa a se stante, ed ormai avulsa al proprio tempo, e dall’altra una nazione che ballava nei club.
Ora, i Primal Scream erano dei veri e propri rocker, fino al midollo, ma hanno capito che se volevano veramente arrivare al proprio pubblico avrebbero dovuto a cominciare a parlare una lingua straniera.
Così arrivi a produrre Don’t fight it, feel it! che sarà  il rock più corrotto e meno arrabbiato degli ultimi vent’anni ma rimane profondamente vero, se inserito nel proprio contesto.
Questo sarebbe un messaggio che molti oggi dovrebbero recepire, a parere mio.
In un periodo storico in cui la musica non si abbassa a parlare il linguaggio della gente ed al contrario la gente innaturalmente si trova forzatamente a parlare il non-linguaggio di molta musica: così si finisce per fingere di farsi piacere brani sfilacciati ed incomprensibili e si inizia a scrivere recensioni solo piene di rimandi ad altri artisti che il lettore non ascolterà  mai ed inglesismi del settore. Il tutto per finire a guardarci compiaciuti il nostro ombelico, inseriti bene come siamo nel circolo vizioso.

Dissing casuali a parte (vedete anch’io uso gli inglesismi, alla fine) mi piacerebbe veramente che artisti del talento dei Primal Scream si applicassero per scrivere della musica di qualità  che sia ben contestualizzata all’interno del nostra società . Questo è l’augurio ed il proposito più grande che secondo me può essere ricavato dalla bellezza e dalla mutevolezza di “Higher Than the Sun”.

Ora, analizzati pressapoco i motivi per cui questo album sia così importante per me vi racconto una storiella per chiudere la questione.
Un giorno ascoltavo “Loaded” a tutto volume dal mio pc quando mi si avvicina un mio amico e mi fa “ma perchè ti stai ascoltando la versione karaoke di Sympathy for the Devil?”
Ora io non mi ricordo chi fosse di preciso questo mio amico ma gli voglio molto bene perchè, nella sua ignoranza (non in senso cattivo, che sicuro poi legge e si offende), è riuscito ad inquadrare perfettamente la musica di “Scremadelica” : così sporca e sensuale, così festante e popolare. Ed ancora, confortante e collante.
Insomma, proprio come una canzone dei Rolling Stones diffusa da un karaoke.

Primal Scream ““ “Screamadelica”
Data di pubblicazione:
23 Settembre 1991
Registrato: 1990 ““ 1991
Tracce: 13
Lunghezza: 64:48
Etichetta: Creation, Sire
Produttori: The Orb, Hypnotone, Andrew Weatherall, Hugo Nicolson, Jimmy Miller
Tracklist:

1. Movin’ On Up – 3:47
2. Slip Inside This House – 5:14
3. Don’t Fight It, Feel It – 6:51
4. Higher Than the Sun – 3:36
5. Inner Flight – 5:00
6. Come Together – 10:21
7. Loaded – 7:01
8. Damaged – 5:37
9. I’m Comin’ Down – 5:59
10. Higher Than the Sun (A Dub Symphony in Two Parts) – 7:37
11. Shine Like Stars- 3:45

Ascolta per intero “Screamadelica”: