In uno scenario globale che si avvita quotidianamente su se stesso formando un flusso musicale a forma di vortice, velocissimo ed incontrollabile, emerge all’improvviso una piccola parentesi di sana e lenta respirazione, “You know what it’s like” di Carla dal Forno.

L’album, trait d’union tra Melbourne e Berlino si articola in otto tracce personalissime, esordio assoluto per la ragazza di origine australiana, prodotto da Blackest ever black (data di uscita 28 Ottobre in doppio formato cd e vinile).

Cantante, cantautrice e multistrumentista, Carla dal Forno è una giovane artista nata a Melbourne ma residente a Berlino (già  membro di F ingers, Tarcar e del trio di Melbourne Mole House) forgiata da un solido background che la porta verso un’impronta espressiva intima che viene esaltata attraverso la “tecnica del contrasto”.

Come lei stessa ha dichiarato sulle pagine di Thump in occasione dell’anteprima del video You know what it’s like, preludio dell’omonimo album, il messaggio vuole essere duplice: da un lato l’esigenza di rivelare una preoccupazione ancestrale, il curiosare nelle vite degli altri, il violare dall’esterno l’ intimità  delle persone a loro insaputa; successivamente, il piano si sposta sul voler sottolineare, ed in un certo senso enfatizzare, lo scontro tra intimità  e distanza, due facce della stessa medaglia.

L’intro track “Italian Cinema” è un paesaggio sci-fi con sonorità  elettroniche circolari, cicli rotatori di elicotteri che nei suoi quasi due minuti preludono alla scena successiva “Fast Moving Cars”, primo capitolo vocale che ricorda i primi lavori di Emiliana Torrini, ci trasporta immediatamente nel suo intimo dove si scorge una irrequietezza di fondo, profonda e reale che segna sin dal primo ascolto, qui il contrasto è lampante: necessità  di stabilità  umana o istinto di moto?; “DB Rip” capitolo strumentale adattissimo al dancefloor, plasmato da una solida bassline e da coralità  gotiche, rimanda, probabilmente, alla sua attuale esperienza berlinese.
“What you gonna do now”, ci riporta nel luogo esplorato da Fast Moving Cars, qui però l’architettura del brano si arricchisce e raggiunge la sua massima forza comunicativa, drum travolgenti ci traghettano lungo il percorso dove lentissime chitarre post-rock comunicano tra loro coperte da strazianti archi e bassi profondi che rendono l’ascolto marcatamente introspettivo, (l’immedesimazione qui è intensissima), si respira aria di solitudine che, tuttavia, non soffoca; in “Dry in the rain”, la lentezza si fà  ritualità , un vento gelido buca il legno all’interno di una foresta umidissima dove non c’è traccia di vita, l’incontro con se stessi si fà  esperienza, in “You know what it’s like” il risveglio prende forma dopo la casualità  di un incontro, l’ennesimo, il mantra vocale si fà  circolare, insistente, l’immedesimazione è completata, definitivamente accettata, si fà  parte del quotidiano.
“Dragon Breath”, intermezzo sperimentale pieno di pulsazioni altalenanti è segnato da un synth ossessivo, presente fino al paradosso; poi, la chiusura è affidata a “The same reply” dove sonorità  filo-orientali si abbracciano ad un mantra vocale lento e soffuso, pop decadente che ti trascina via.

Un’occasione per capire il rapporto tra noi stessi e ciò che ci circonda, pedagogia interiore, riflessione definitiva: l’ignoto non è mai stato così affascinante.