C’è una chiesa a Berlino, al 28B di Bismarckallee nel distretto di Wilmersdorf. La Grunewaldkirche, gotica e un po’ spettrale, tra il 2008 e il 2011 è diventata la casa musical – spirituale di un nutrito gruppo di artisti che tra quelle quattro mura accoglienti si ritrovavano per registrare, suonare, far concerti. Andavano a bussare a casa della signora in fondo alla strada che aveva la chiave e entravano, in punta dei piedi. Nils Frahm a Grunewald ha registrato “The Bells”, piccolo capolavoro di lucida improvvisazione. Tra i tanti musicisti affascinati dal suono che si poteva ottenere grazie a un Bösendorfer e al naturale riverbero di quelle pareti c’è anche Peter Broderick, prolifico multi strumentista americano storico collaboratore e amico di Frahm (era lui il Peter di “Peter Is Dead In The Piano” canzone triste legata a bei ricordi).

Broderick in quasi dieci anni di carriera solista ha dimostrato il suo valore con album come “Docile”, “Home”, “How They Are”, “Colours Of The Night” fino all’ ultimo straniante “Partners” uscito ad agosto. “Grunewald” è il modo perfetto per mettere insieme un po’ di ricordi legati a quella chiesa andando a recuperare pezzi già  pubblicati dall’etichetta giapponese Cote Labo nello split album “Glimmer” e nella compilation “Variations Of Shade” ma in realtà  registrati tutti la stessa sera al 28B di Bismarckallee. Un EP che comincia dai saluti. Dal dolce minimalismo di “Goodnight” che si affida a sparse note di pianoforte e parti vocali appena accennate per evocare addii d’altri tempi con fazzoletti bianchi tra le mani in vecchie stazioni. Ed è sempre il pianoforte ad essere protagonista con drammatica dolcezza in “Low Light” e “It’s A Storm When I Sleep”, come se Peter Broderick volesse tornare indietro nel tempo per raccontare l’inizio di un viaggio pieno di incognite.

Proprio a un viaggio somiglia “Grunewald”, un viaggio da fare con gli occhi chiusi e le urgenti note di “Violin Solo N. 1” nelle orecchie. Se in “Partners” Broderick cercava di essere diverso da sè stesso seguendo le orme di John Cage e sperimentando, con “Grunewald” torna a camminare su un terreno decisamente più familiare fatto di intensità  e pochi fronzoli. Il periodo d’oro della Grunewaldkirche purtroppo è finito da tempo ma restano le emozioni e la netta sensazione che le chiese siano un posto perfetto dove fare musica (gli amici di Unplugged In Monti lo sanno bene).