Entriamo nella macchina del tempo, nel nostro personale TARDIS come degli ipotetici Doctor Who e risvegliamoci venticinque anni fa, nel 1997.
Il grunge ormai aveva esaurito la sua onda d’urto mentre al di qua dell’oceano, nel Regno Unito, il British Pop cominciava a dare i primi segni di cedimento, con i capricci dei fratelli Gallagher ed il cambio repentino di rotta dei Blur. Il sound sembra virare verso sonorità  più elettroniche, grazie al Bristol sound dei Massive Attack, Tricky e Portishead.

La scena dance aveva negli Orbital, Prodigy e Underworld le figure di riferimento. Ma quel duo originario di Londra ma di base a Manchester, i Chemical Brothers (già  Dust Brothers come i producers di “Paul’s Boutique” dei Beastie Boys) aveva già  stupito il mondo con il suo sound trasversale, quasi rallentato in termini di BPM, che univa tuti i generi dalla techno al punk, dall’acid house al kraut-rock. Il primo album “Exit Planet Dust” aveva fatto apprezzare la musica dance anche agli ossessionati dell’indie (come chi vi scrive).
Ma la stoffa di Ed Simons e Tom Rowland doveva ancora venire alla luce.
Con uno di quegli intro che tolgono il fiato ecco che ci si trova catapultati nel secondo album: un riff di basso ed una voce che urla “back with another one of those block rockin’ beats” poi una batteria sincopata e già  siamo scatenati nel dancefloor, malgrado il ritmo piuttosto lento a 109 BPM. Pronti-via ed è già  amore a primo ascolto.

Al secondo brano si accelera, scavandosi la propria fossa come vuole il titolo del disco: un big beat claustrofobico, dark, quasi decadente che ha un po’ di Prodigy. I brani sono lunghi, con il terzo “Elettrobank” siamo già  a 18 minuti di riproduzione. Dopo la lisergica “Piku”, ecco la prima guest star del disco, Noel Gallagher, nella sincopata “Setting Sun”. La voce al megafono è comunque riconoscibile, specie nell’intonazione di questa “Wonderwall” a tutta velocità , ricca di fiati sintetici ed effetti sonori da film horror.
L’album accelera poi violentemente con le classiche techno quali “Don’t Stop The Rock” e “Get Up On It Like This”.
Poi la seconda guest star, Beth Orthon, che con la sua voce suadente tira il freno a mano e ci immerge in un riff di chitarra avvolto su se stesso come una spirale del DNA che finisce per esplodere in un tripudio lisergico di percussioni e piatti, quasi come vedere l’abbaglio della luce dopo una lunga notte onirica.
Il finalone da oltre 10 minuti di “Private Psychedelic Reel” con quel sapore vagamente etnico misto al psichedelico che il titolo del brano non tenta nemmeno di nascondere.

La formula chimica che i due hanno trovato è davvero quella giusta: tutto sembra al proprio posto, dalla copertina iconica tutta nera dove il volto della ragazza sembra scavato dalle tenebre alle voci prestate dalla musica per molti ma non per tutti. Un lungo viaggio che traghetterà  la musica dance fino ai giorni d’oggi ed i Chemical Brothers nell’olimpo.
La nostra macchina del tempo sta per ripartire, è ora di salire a bordo. Canticchiando “back with another one of those block rockin’ beats”.

The Chemical Brothers ““ Dig Your Own Hole
Data di pubblicazione: 7 aprile 1997
Tracce: 11
Lunghezza: 63:27
Etichetta: Virgin
Registrato: Orinoco Studios, South London, Inghilterra
Produttori: Tom Rowlands Ed Simons

Tracklist:
1. Block Rockin’ Beats
2. Dig Your Own Hole
3. Elektrobank
4. Piku
5. Setting Sun
6. It Doesn’t Matter
7. Don’t Stop the Rock
8. Get Up on It Like This
9. Lost in the K-Hole
10. Where Do I Begin
11. The Private Psychedelic Reel