Dopo venti anni esatti di onorata carriera e un capolavoro come “Twin Cinema” (2005) alle spalle, i canadesi New Pornographers potrebbero anche permettersi di non dover dimostrare più nulla a nessuno e ripetere la stessa formula vincente di album in album. E invece no: ogni nuova release è influenzata da suoni, generi ed epoche diverse, che contribuiscono a dare vita a un power-pop davvero unico e immediatamente riconoscibile.
“Whiteout Conditions” è il settimo lavoro in studio e il primo senza il batterista Kurt Dahle e il polistrumentista Dan Bejar, allontanatosi temporaneamente per dedicarsi esclusivamente alla stesura delle nuove canzoni dei suoi Destroyer. L’assenza di Bejar non è certamente di poco conto, considerando il fatto che molti brani dei precedenti album dei New Pornographers sono stati scritti e cantati proprio da lui. Orfano del suo prezioso apporto, A.C. Newman (voce e chitarra) si è occupato da solo del songwriting dei nuovi undici pezzi, continuando a dividere il microfono con Neko Case, la regina dell’alternative country statunitense, e Kathryn Calder, ex-leader del trio indie pop Immaculate Machine.

La mancanza dell’eccentricità  e dell’eclettismo di Dan Bejar si fa sentire, ma senza pesare eccessivamente. L’elettronica e la new wave del precedente “Brill Bruisers” fanno ancora capolino in diversi episodi, come nella title track “Whiteout Conditions”, in “Darling Shade” e nella batteria che apre “Play Money”, il cui beat ricorda da vicino quello della drum machine del classicone anni ’80 “Enola Gay” degli OMD.
Richiami al David Bowie berlinese e agli Sparks di “Kimono My House” percorrono le note di “This Is The World Of The Theater” e “Clockwise”, probabilmente le due canzoni migliori del disco. Un ritorno deciso alle sonorità  più rock e immediate dei primi album c’è invece nel singolo “High Ticket Attractions” e nella chiusura nervosa e ritmata di “Avalanche Valley”.

Melodie catchy e intrecci vocali sono, come sempre, i veri punti di forza della proposta dei New Pornographers; impossibile non apprezzare il lavoro certosino di Newman e soci nei cori della beachboysiana “Second Sleep”, nella ballad elettronica “We’ve Been Here Before” e nella psichedelica “Juke”. Il rischio di cadere nella melassa e nel barocco viene abilmente evitato grazie a un songwriting maturo e mai banale, a tratti fin troppo raffinato ma sempre attento a non anteporre la forma alla sostanza.

Difficile che i New Pornographers riescano mai a tornare ai livelli di “Electric Version” (2003) e del già  citato “Twin Cinema”, ma va bene così: “Whiteout Conditions” è un lavoro più che convincente, in grado di combinare la freschezza degli esordi alla sperimentazione dei dischi più recenti.