L’attacco di “I Used To Spend So Much Time Alone” è come l’inizio di un viaggio all’alba di un mattino terso e frizzante. Il ritmo di “Different Now” che incalza gentilmente sulla chitarra cristallina sembra dire Sali a bordo e lasciati andare lungo la strada che si srotola all’orizzonte. Un viaggio nello spazio e anche nel tempo, indietro in quegli anni in cui il grunge non era solo una camicia sgarrupata di flanella ma un filtro per guardare il mondo stretto in una morsa mercificatrice. Anche se il grunge che nasceva nello stato di Washington, lo stesso luogo di provenienza delle quattro ragazze, di cristallino aveva molto poco. A distanza di una generazione, le Chastity Belt ne hanno ereditato la tendenza al nichilismo gambizzante (I’m not ok, I want to complain, in “Complain”) ma si sono salvate grazie al dream pop (I wanna have some self control, I wanna be sincere, “Used To Spend”). Il tributo alla vecchia guardia della scena di Seattle è dichiarato nel video di “Different Now”, ispirato a quello di “Hunger Strike” dei Temple of the Dog.

Ma allargando lo sguardo, in un ideale albero genealogico le Chastity Belt potrebbero posizionarsi come nipoti dei Cure, amanti di Elliott Smith, cugine dei contemporanei Wild Nothing e Deerhunter. Dagli esordi, cinque anni fa, attraverso le canzoni hanno perseguito il superamento degli stereotipi di genere senza bisogno di sottotitoli (“Giant Vagina”), con un atteggiamento soft punk ironico e mai veramente distruttivo (“Healthy Punk”). E sono cresciute, raffinando il suono e l’immaginario, mettendo radici in un terreno che rispecchia pienamente quest’epoca così piena di chiaroscuri. L’atteggiamento riot e i vagheggiamenti shoegaze hanno lasciato maggiore spazio alla riflessione. Un album da considerarsi forse ancora sperimentale nella ricerca di un’identità  ma che certamente dà  buoni segnali di coerenza e carattere.

Photo Credit: Stacy Peck