Esattamente dieci anni fa, nell’estate del 2007, i Queens of the Stone Age aprivano una nuova fase nella loro carriera: con il discusso “Era Vulgaris”, infatti, la band di Josh Homme tagliava nettamente i ponti con il passato stoner e hard rock a favore di sonorità  più sperimentali e innovative, a tratti addirittura stravaganti e imprevedibili. Tutto questo senza girare le spalle al mainstream che li aveva accolti a braccia aperte con singoli di enorme successo quali “No One Knows”, “Go With The Flow” e “Little Sister”. Un’operazione rischiosa, riuscita solo in parte e non ripetuta nel successivo “”…Like Clockwork” del 2013, meno coraggioso ma decisamente più maturo. Un disco dalla marcata impronta pop che, se da un lato ha diviso i seguaci della prima ora e i nostalgici del sound duro degli esordi, dall’altro ha fatto entrare definitivamente i Queens of the Stone Age nel gotha del rock moderno, permettendo loro di scalare le classifiche di vendita di mezzo mondo.

Il nuovo album si intitola “Villains” ed è stato prodotto dal Re Mida del pop Mark Ronson, artefice di alcuni tra i maggiori successi di gente come Amy Winehouse, Adele, Robbie Williams, Bruno Mars e Lady Gaga. Tutti artisti con i quali i Queens of the Stone Age hanno poco o nulla da spartire; eppure, il connubio funziona. Chiunque temesse un repentino cambio di rotta nella carriera della band può star tranquillo: Ronson, da grande professionista qual è, mette a proprio agio i cinque e non impone formule per ottenere maggior airplay radiofonico. Al contrario, il produttore inglese riesce a recuperare e valorizzare gli aspetti fuori dal comune di Homme e soci, in qualche modo tenuti sotto controllo nel più accessibile e serio “”…Like Clockwork”. Tra i meriti principali di Ronson c’è anche quello di aver messo al centro delle canzoni il lavoro della sezione ritmica: il basso dell’ottimo Michael Shuman è sempre in primo piano, così come gli arrangiamenti e i suoni della batteria di Jon Theodore sono curati fino all’ultimo dettaglio.

“Villains” era stato annunciato come un disco più “ballabile” e uptempo rispetto al suo predecessore. Definizioni che calzano a pennello per l’opener “Feet Don’t Fail Me”: un funk rock strambo e degenerato, le cui atmosfere ricordano un po’ quelle di “Smooth Sailing” (da “”…Like Clockwork”) e “Skin on Skin” (da “Lullabies to Paralyze” del 2005). Senza dubbio, però, il brano scritto apposta per riempire le piste da ballo è il singolo “The Way You Used to Do”: un divertente crossover tra swing, jive e glam rock in cui si sente chiaramente il peso del contributo di Mark Ronson in cabina di regia. Il rock “robotico” dei tempi di “Era Vulgaris” torna a farsi sentire prepotentemente in “Domesticated Animals”- con un riff che sembra la versione monca di quello di “Smoke on the Water” ““ e nei quasi sette minuti di “Un-Reborn Again”, canzone piena zeppa di sintetizzatori vintage, fiati, archi e riferimenti al David Bowie sommerso da fiumi di cocaina del periodo di “Station to Station”.

In “Fortress” (probabilmente l’episodio più debole del disco) e nell’intensa ballad “Villains of Circumstance” emerge la vena malinconica e introspettiva di “”…Like Clockwork”, mentre in “Hideaway” ricompaiono le atmosfere lounge (quasi da strip club) e i toni sensuali tanto cari all’ex chitarrista dei Kyuss. Nonostante i cambiamenti stilistici e i tentativi di rinnovamento, i Queens of the Stone Age continuano a dare il meglio quando si riavvicinano all’hard rock sanguigno e diretto degli esordi; in questa categoria rientrano certamente “Head Like a Haunted House” e “The Evil Has Landed”, due tra i momenti più interessanti di “Villains”. La prima risale all’epoca delle sessions di “Era Vulgaris” ed è un palese omaggio al garage punk degli amatissimi The Cramps e The Gun Club; la seconda, con un bel riff alla Them Crooked Vultures e un finale scatenato alla Eagles of Death Metalf, rappresenta una sorta di summa dell’opera di Homme che, nel corso di quasi tre decenni di attività , è stato coinvolto in così tanti progetti paralleli da averne probabilmente perso il conto.

“Villains” è un buon compromesso tra la stranezza di “Era Vulgaris” e la maturità  di “”…Like Clockwork”. I Queens of the Stone Age, anche in questo caso, non scendono a compromessi con lo showbiz e con le mode, ma si fanno dare una mano da Mark Ronson per alleggerire i toni e smorzare gli aspetti più spigolosi. Un lavoro lontano dalla genuinità  stoner dei primi tre spettacolari album che però – al contrario dei suoi due predecessori – saprà  convincere sia i fan della prima che quelli dell’ultima ora.