Trentun’anni, una voce calda e profonda, morbida ma capace di graffiare se serve. Due album alle spalle (“Love Your Dum and Mad” e “Fast Food”) e una carriera in continua ascesa. Aveva appena compiuto diciotto anni Nadine Shah quando ha lasciato la piccola cittadina di Whitburn in Inghilterra per scappare a Londra. Voleva diventare una cantante jazz seguendo le orme del suo idolo, Nina Simone, ma le cose sono andate in modo diverso come spesso capita. Di quel periodo le è rimasta addosso la capacità  di emozionare, di raccontare storie di vita vissuta con passione e uno stile d’altri tempi che non si vede spesso nell’affollato panorama musicale odierno (non a caso la paragonano spesso ad Amanda Palmer, Anna Calvi e PJ Harvey).

“Holiday Destination” è un album diverso dal solito, da quanto Nadine Shah ha fatto in passato: musicalmente più accessibile dei precedenti ma volutamente poco rifinito, creativo in alcuni momenti (“Ordinary” e “Relief” ad esempio) ricchi di passaggi vocali e strumentali che uniscono lo spirito indie all’anima post punk. Al contrario di “Fast Food” il volto di Nadine non appare in copertina: al suo posto una fotografia scattata a Gaza da Christian Stephen, giovane corrispondente di guerra. Distruzione, morte, ma anche speranza. Un mix che riflette l’atmosfera di “Holiday Destination”, album che spazia senza soluzione di continuità  dalla Brexit alla guerra in Siria a temi più personali, ma è in gran parte ispirato alla tragedia dei migranti e all’impatto che ha avuto e sta ancora avendo sulla sospettosa società  occidentale. Un tema che a Nadine Shah, madre norvegese da anni in Gran Bretagna, padre pachistano, un fratello giornalista di Al Jazeera, sta molto a cuore.

Where would you have me go? / I’m second generation / Don’t you know? esclama nella martellante “Out The Way” col serpeggiante sassofono di Pete Wareham che si infila ribelle e cupo tra le note. Note grintose, rabbiose come quelle di “2016” o “Evil” che cita “Days” di Philip Larkin, oppure dolenti come nella splendida “Jolly Sailor” o in “Yes Man”. Sempre battagliere e mai veramente rassegnate: in “Holiday Destination” anche la dolcezza è combattiva come la madre coraggio di “Mother Fighter” (I’m a mother and a fighter / I can do both just as well). Se non avesse fatto la cantante Nadine Shah avrebbe voluto dedicarsi alla fotografia. E la sua musica infatti somiglia molto ai ritratti di Gordon Welters, Meredith Hutchison o Giles Duley. Niente ipocrisie. Niente finzioni. Nessun voyeurismo gratuito. Onesta e dolorosa come le storie migliori.