La copertina del nono album dei Foo Fighters, l’attesissimo “Concrete And Gold”, è classica e minimale. Strana scelta per un disco che era stato presentato come psichedelico e rivoluzionario. Prodotto da Greg Kurstin (noto per aver portato al successo Adele, Pink, Lily Allen e Sia ma collaboratore anche di Beck e Red Hot Chili Peppers) è il primo in cui il tastierista Rami Jaffee compare come membro ufficiale della band. Che sia cambiato veramente qualcosa per Dave Grohl e soci? Non si può mai dire con un gruppo come i Foo Fighters che nella loro vita musicale hanno fatto ormai quasi tutto. E che in “Concrete And Gold” somigliano soprattutto a se stessi: trascinanti, melodici, capaci di scrivere gran pezzi di rock che dal vivo faranno furore.

Inizia con gli accordi acustici di “T-Shirt” questo album numero nove, accordi che poi esplodono in un bell’insieme di chitarre e batteria. E vista la già  citata presenza di Kurstin come produttore sorprende quanto poco i Foo Fighters si siano ammorbiditi, addomesticati. E’ vero casomai il contrario, con Dave Grohl che riscopre le sue radici hardcore e metal con le urla di “Run” e l’energia della ruvida “La Dee Da”. “Make It Right” si ricorda soprattutto per le melodie e l’intro di batteria ritmato di Taylor Hawkins, che ritroviamo nelle vesti di cantante nell’elegantissima “Sunday Rain” dove alla batteria appare magicamente un certo Sir Paul McCartney che dimostra di sapersela cavare anche con pelli e bacchette. Altrove i Foo Fighters sono tesi, nervosi (“The Line”, “The Sky Is A Neighbourhood” e “Arrows”) ma a sorprendere è soprattutto la beatlesiana “Happy Ever After (Zero Hour)” capace di essere leggera e sognante come non ci si aspetterebbe da un album del genere.

Le collaborazioni di “Concrete And Gold” meritano un capitolo a parte. Di Sir Paul abbiamo già  detto. Per il resto la più riuscita è senza dubbio “Dirty Water” con la voce di Inara George del duo The Bird and the Bee che duetta con un Dave Grohl in gran spolvero. L’ospite a sorpresa, tanto chiacchierato, è Justin Timberlake (galeotto fu il parcheggio degli EastWest Studios a Los Angeles, dove l’album è stato registrato, complice una bottiglia di whisky) ma la sua presenza passerebbe praticamente inosservata se non si sapesse che è lui a canticchiare uno dei tanti “la la las” in “Make It Right”. In quel parcheggio Dave Grohl ha incrociato anche Shawn Stockman dei Boyz II Men che presta la sua voce alla conclusiva “Concrete and Gold”, cavalcata dolente e riflessiva che suona proprio come l’omaggio ai Pink Floyd che in effetti è. Per Alison Mosshart dei The Kills, ai backing vocals in “The Sky Is a Neighbourhood” e “La Dee Da” (dove c’è anche il jazzista Dave Koz al sassofono) vale lo stesso discorso fatto per Timberlake: c’è ma non si sente troppo ed è forse un peccato.

Che album è quindi questo “Concrete And Gold”? Un disco in cui i Foo Fighters rendono omaggio con un bell’inchino ai tanti artisti che li hanno ispirati. Lo fanno a modo loro, senza snaturarsi nè scendere a patti con nessuno. Dopo più di venti anni di carriera possono permetterselo. Ma “Concrete And Gold” fa capire soprattutto una cosa: che non è più un sacrilegio per una band rock collaborare con un produttore famoso per i suoi successi pop da classifica. L’hanno dimostrato quei cattivoni dei Queens Of The Stone Age scegliendo Mark Ronson per il loro “Villains”. I Foo Fighters lo confermano. E’ un azzardo che a volte funziona.

Photo: Brantley Gutierrez