La ‘X’, per gli appassionati dell’universo Marvel, spesso sta ad indicare i mutanti. In questo caso, nonostante una ‘X’ compaia a completare il nome originale che già  conoscevamo (Cousteau, appunto), particolari “mutazioni” non ne abbiamo, ma forse quello che è mutato e ritrovato è la serenità  personale di due artisti come Liam McKahely (voce) e Davey Ray Moor (chitarrista, compositore) che ritrovano la voglia di suonare insieme, finalmente liberi dal peso di un brano come “The Last Good Day Of The Year” che, bene o male, ha segnato una carriera.

Se si parte da questo concetto ecco che quella X non c’infastidisce, ma anzi, è un invito anche all’ascoltatore ad andare oltre a quella canzone, perchè i Couteau(x), tutto sommato, sanno essere oltre. Rimangono i punti fermi di un discorso interrotto più di una decina d’anni f: un croonig elegante e caldo, una tendenza a disegnare ombre mai troppo oscure e tenebrose, quanto piuttosto malinconiche, introspettive e dotate di quel romanticismo che si mescola alle confessioni fatte in un fumoso bar.

Sempre elegani nel gusto blues e noir che spesso fa capolino (i Tindersticks restano un modello),   questa volta condiscono il tutto aggiungendo anche vibrazioni pop alla Bacharach (“Seasons Of You”), evocazioni di Tom Waits (“Thin Red Lines”) e atmosfere jazz o sophistipop alla moviola (“Fucking In Joy And Sorrow”), con la voce di Liam (vera nota di pregio, capace di assumere sfumature che vanno da Bowie a Lou Reed passando per Scott Walker) impegnata a saturare gli spazi, sapendo dialogare sia con il piano (“Maybe You”) o trovando il contraltare di una tromba. Il problema, se vogliamo chiamarlo così, è che i Cousteaux seguono solchi già  abbondantemente tracciati, risultando, nel loro essere cinematografici o delicatamente passionali, più che prevedibili, ma almeno non vogliono mostrarsi più colti e saccenti del dovuto e non incorrono in brutti scivoloni, navigando in mari tranquilli. Questo ci basta.