è sinuosa ed infinita la coda di automobili che si snoda lungo il viale nei pressi del Pala Lottomatica, un serpentone che va a morire nel dedalo di parcheggi posto di fronte a quello che questa sera sarà  il teatro di uno dei concerti più attesi dell’autunno romano.
Terza esibizione italiana per il Re Inkiostro, le aspettative sono davvero alte viste le meraviglie raccontate sui social a proposito delle due date tenutesi recentemente nel nord Italia e, come vedremo, non saranno assolutamente disattese.

Non possiamo parlare di sold out, ma i posti rimasti liberi sono davvero pochissimi, il parterre si va via via riempiendo alla spicciolata da chi ha voglia di avvicinarsi il più possibile ad un Nick Cave voglioso come mai in passato di offrirsi al suo pubblico festante.
La vera curiosità  da parte di chi vi scrive consiste nel verificare con mano come l’autore australiano riuscirà  nell’ardua impresa di far coesistere le fragili alchimie che tengono insieme i dolenti brani contenuti nel recente “Skeleton Tree” e i pezzi dal piglio più vigoroso che tutti conosciamo, il timore più che fondato è quello di vedere canzoni come “Distant sky” e “I need you” schiacciate dai movimenti tellurici che scaturiscono dallo scontro di quelle due zolle continentali che corrispondono ai titoli di “Tupelo” e “From her to eternity”.

E sono proprio i brani contenuti nel lavoro uscito lo scorso anno ad aprire le danze. Nick Cave, giacca scura d’ordinanza su camicia celeste, introduce la serata con il salmodiare di “Anthrocene”, seguita a stretto giro dalle tremolanti dissonanze di “Jesus Alone” e dal magnetismo (scusatemi) di una “Magneto” da applausi.
Ma il delirio si scatena subito dopo, quando il timoniere folle Warren Ellis spiega le vele di questo vascello ebbro destinato a seguire il suo capitano nel mare di mani tese che si apre di fronte ai Semi Cattivi:”Higgs Boson Blues” accende la miccia, “From her to eternity”, “Tupelo” e “Jubilee Street” sono l’esplosione che trasforma il parterre in una bolgia.
Cave è elettrico, scatenato, corre da una parte all’altra del palco urlando e sussurrando, senza soluzione di continuità  (mostrando tra le altre cose una tenuta vocale da fare invidia a molti suoi colleghi ben più giovani), stringe mani e si intrattiene per qualche secondo con più di un componente del pubblico, regalandosi completamente. Questo fino alla pausa al piano costituita da una resa poco sentita di “Ship song” e da una “Into my arms” commovente e tormentata come da copione, momento in cui il nostro evidentemente approfitta per abbassare il numero dei giri del motore e regalarsi una sacrosanto break.
La struggente intensità  iniziale torna a metà  della scaletta con la toccante doppietta “Girl in amber”-“I need you”, a cui seguono altri due classici di facile presa come “Red Right Hand” e “The Mercy Seat”.

A dimostrazione però del fatto che la struttura portante dell’esibizione è costituita dallo splendido “Skeleton Tree”(i brani dell’album sono infatti distribuiti equamente all’inizio, nella parte centrale e alla fine) giungono altri suoi due pezzi a elargire al pubblico il commiato di Nick Cave e compagni. In fondo arrivederci migliore non potrebbe esserci, con l’eterea “Distant Sky” intonata dalla delicata voce di Elsa Torp(evocata sul palco tramite un proiettore), e una liberatoria “Skeleton Tree”, che chiude idealmente il cerchio con la sua dimessa eleganza.
Naturalmente lo spettacolo non finisce qui, manca il bis, giusto un paio di minuti e i nostri tornano sul palco per regalarci un finale con gli immancabili fiocchi con una “Weeping song” in cui Nick Cave si mette a giocare a fare Matt Berninger e scende tra la folla per cantare in mezzo al pubblico, il quale poi sarà  addirittura invitato a salire sul palco per accompagnarlo in “Stagger Lee” e “Push the sky away”.

Due ore e un quarto di durata, ma sono sembrate molto meno, tanto è stato bravo Cave a generare quel trasporto capace di coinvolgere le centinaia di persone presenti all’evento, le quali sono tornate a casa con la certezza di aver assistito ad uno spettacolo unico e, speriamo, ripetibile…one more time with feeling, Nick!