16 anni d’attesa! Ci hanno fatto aspettare i cari Shed Seven, ma ora eccoli qui, in forma, pimpanti e con tantissima voglia di rimettersi in gioco. Rick Witter e compagni in realtà  è da un bel po’ che, almeno in Uk, macinano tour e sold out, ma questa volta oltre ai grandi classici degli anni ’90, nei loro prossimi live, potranno sfoggiare un po’ di brani nuovi e questo per loro è decisamente motivo di vanto. Inutile soffermarsi sulla storia di questa band, vero e proprio simbolo di quello che fu il britpop: il tempo e lo spazio sono tiranni e quindi andiamo a concentrarci su questo Instant Pleasures, che, lo diciamo subito, a scanso d’equivoci, non delude le attese ma nemmeno ci fa gridare al miracolo.

Sarà  che forse mi attendevo qualcosa di diverso dalla produzione di Youth, ma sta di fatto che sulle melodie i nostri sbagliano davvero poco o nulla, ma sono i pezzi che vengono eccessivamente sovraccaricati di elementi, risultando a tratti fin troppo pesanti ed eccessivi. L’impressione è che si sia voluto recuperare un po’ tutti gli elementi dei dischi precedenti, come a far sentire l’ascoltatore subito a casa, in modo immediato (ecco il titolo), ma in realtà  il sound viene elevato all’ennesima potenza: i cori diventano ridondanti tra accenni gospel e baraonde da stadio, fiati, archi e tastiere praticamente non mancano mai, alternandosi o comparendo pure insieme, andando a tratti a soffocare anche le chitarre. Intendiamoci, è bello poter rivedere tutte le varie anime degli Shed Seven, da quella rock che caratterizzò il lor secondo album a quella più calda e variegata del terzo, ma alla fine forse quello più penalizzato è il volto più semplice e quasi “smithsiano” dell’esordio: per arrivare a una traccia classicamente guitar-pop, senza tanti orpelli, dobbiamo aspettare la canzone numero 10, ovvero “Butterfly On A Wheel”; ecco, questo a mio modo di vedere, è una pecca a cui forse Youth avrebbe potuto mettere rimedio, perchè il rischio poteva proprio essere quello che i nostri, vista la lunga assenza avrebbero voluto un po’ esagerare, rendendo   fin troppo “abbondanti” i brani, rischio diventato concreto.

In ogni caso gli Shed sanno scrivere dei ritornelli deliziosi, poco da fare, e che il ritmo salga (“Enemies And Friends”) o che arrivino le doverose ballate come “Better Days” (tutti i brani hanno quella capacità  di far riandare il nostro pensiero ad altri classici della band del passato, senza però scadere nel plagio), beh, il colpo vincente spesso arriva e stupirsi di avere un paio di linee melodiche appiccitate al cervello sarebbe inutile: già  immaginiamo che quel coro travolgente di “Room In My House” diventerà  il prossimo inno ai live di dicembre.

Dopo 16 anni poteva andare molto peggio!

 

 

Photo Credit: Tim Sheerman-Chase (CC BY-NC 2.0)