Incuriosito dalla miriade di recensioni positive lette in giro per il web, ho cercato questo nuovo disco di Robert Plant e me lo sono ascoltato tutto d’un fiato. Si sa, dall’ultimo volo dello Zeppelin ne è passato di tempo, come molti sono stati i lavori proposti fino ad oggi dai 3 ex componenti della band che negli anni ’70 “‘facevano scuola’ a musicisti e cantanti. Un percorso solista interessante quello di Plant, denso di sonorità  sperimentali che mischiano assieme folk, blues ad atmosfere arabeggianti aggrappate a tematiche mitologiche, anche se lo stesso purtroppo è la diretta conseguenza di quello tragico scherzo del destino che segna la fine dei Led Zeppelin e che somiglia così assurdamente alla stessa storia del dirigibile Hindenburg.

La continua esplorazione e ricerca musicale dettata dal carattere irrequieto e dalla capacità  versatile dell’artista Inglese porta a questo ultimo lavoro uscito lo scorso Ottobre. Un album sicuramente diverso da quelli passati questo “Carry Fire” che, pur mantenendo quel filo conduttore Folk/Rock, presenta una componente malinconica che si condensa anche in quello sguardo perso dell’artista presente sulla stessa cover dell’album. Una faccia stanca, forse rassegnata, che in prima battuta un po’ preoccupa ma che rassicura l’ascoltatore sin dalle prime canzoni. Un album elegante e caratterizzato da atmosfere mediorientali che ricordano in parte quelle della famosissima Kashmir, la stessa battezzata da Plant come “la canzone dei Led Zeppelin” per eccellenza.
Undici tracce per 50 minuti scarsi tra una canzone più bella dell’altra mentre la voce di Plant si plasma con sensualità  ed eleganza propria di quegli Dei dell’Olimpo inimitabili. Certo, le tonalità  estreme degli anni “’70 sono state abbandonate da tempo ma la timbrica calorosa è sempre quella che ci ha fatto innamorare ascoltando i dischi dei “dirigibili di piombo”. E per quanto i suoni in generale possano risultare attuali, nel contempo non perdono quella particolarità  essenziale che si sposa alla perfezione con la timbrica caratteristica anni ’70 del front man Inglese. Un plauso va fatto sicuramente anche ai Sensational Space Shifters , band sempre più partecipe al progetto solista di Plant che lo accompagna in maniera egregia sembrando quasi una sorta di alter ego dello stesso artista.

In sintesi, anche se non paragonabile all’interessantissimo lavoro del 2007 con la statunitense Alison Krauss, “Carry Fire” risulta un album molto piacevole ed interessante, caratterizzato da tutte quelle influenze musicali che hanno contribuito a contraddistinguere la carriera solista dell’immenso Plant.

Photo Credit: Phil King / CC BY