Prima di scrivere questa recensione sono andato ad informarmi meglio sulla band in questione. Li avevo ascoltati sei anni fa, grazie al loro primo Ep, ma poi li avevo abbandonati, perchè nel frattempo avevo scoperto altri generi musicali di cui mi sono poi innamorato, lasciando la sfera musicale indie-pop.

Riguardando la storia dei newyorkesi Cults, si nota come il loro primo album, datato 2011, venne dichiarato “Best New Music” da Pitchfork, la cosa non mi sorprende positivamente perchè in quel periodo tra i gruppi di quel genere comparivano nomi come Ladytron e The XX e, di fatto, con l’ultimo album prodotto, ovvero “Offering”, non c’è un effettiva evoluzione, anzi, sembra di ascoltare la fusione delle due band citate prima, ma in una versione decisamente più leggera e senza mordente.

Mi da fastidio che questa band non riesca non solo a stare al passo con i tempi, ma nemmeno a dare segnali positivi guardando il passato.
Non dico che il revival sia una cosa cattiva, anzi, se ponderato può creare qualcosa di nuovo come lo è stato per il garage oppure per il post-punk, ma purtroppo i Cults non si sono migliorati e la cosa peggiore è che scopiazzano loro stessi e altre band famose del tempo.
Certo, il prodotto è ben confezionato per il pubblico medio e senza pretese e molte tracce dell’album richiederebbero pure un approccio d’ascolto spesso diverso, la title track, ad esempio, pare quasi idilliaca con i suoi cori, i synth e una batteria leggermente riverberata, mentre in “I Took Your Picture” sembra di ascoltare Helen Marnie dei Ladytron, ma in una versione molto (troppo) più pop del solito, ma a tratti non si capisce proprio dove vogliano andare a parare e, alla lunga il disco, diventa dispersivo, se non poco interessante anche sul versante pop e melodico.
L’unico pregio sono le linee di basso, in alcune parti sono interessanti e mi hanno sufficentemente soddisfatto.

Per il resto non c’è altro da aggiungere, ci saranno nostalgici del genere che apprezzeranno questo tipo di musica molto “plasticosa”; “Offering” si concentra solo sui suoni di un periodo ormai lontano e su una forma che ci appare senza sostanza, peccato.

Photo Credit: Shawn Brackbill