Anche nelle migliori famiglie come IFB ci sono pareri discordanti su certi dischi. Di solito ci fidiamo e accettiamo il verdetto del nostro recensore, ma per certe uscite molto importanti e in grado e di dividere la critica, abbiamo pensato a un diritto di replica, una seconda recensione che potrebbe cambiare le carte in tavola rispetto alla precedente. Voi scegliere quella che preferite “…

VOTO OTHER SIDE: 5
Leggi la recensione positiva di “Low In High School”

Il ritorno di Morrissey ha scatenato la stampa inglese, già  sufficientemente messa alla prova dai dischi dei fratelli Gallagher e dall’ormai infinita serie di tweet che si scambiano di frequente. E il Moz non si è certo tirato indietro cancellando concerti all’ultimo minuto, rilasciando interviste politicamente scorrette e non perdendo occasione per far parlare di sè. In tutto questo “Low In High School”, il nuovo album dell’ex cantante dei The Smiths uscito a metà  novembre tre anni dopo “World Peace Is None Of Your Business”, è passato quasi in secondo piano dopo le prime (generalmente entusiastiche) recensioni d’oltremanica. Registrato tra Saint-Rèmy-de-Provence e Roma con Joe Chiccarelli nelle vesti di produttore, l’undicesimo disco di Morrissey viaggia a corrente alternata senza mai convincere del tutto.

La formula è la stessa di sempre, quella ormai consolidata in anni di carriera solista, ma sembra aver perso un po’ di mordente e magia. E’ un Morrissey pungente soprattutto nei testi, che ammicca malizioso ai fan orfani degli Smiths e di Johnny Marr seminando momenti che possono ricordare il passato (il ritornello dell’ironica “Spent The Day In Bed”, l’inizio di “Home Is A Question Mark”) senza però eguagliarlo in alcun modo. Per il resto il nostro Moz s’indigna, si sbraccia, fa politica a modo suo in “Israel” e nel valzer “The Girl From Tel Aviv Who Wouldn’t Kneel”, si cimenta in raffinate ballate piano e voce (“In Your Lap”) e si lancia in corride sentimental ““ sessuali (“When You Open Your Legs”) che strappano un sorriso e nulla più. A deludere però è soprattutto la sequenza che apre “Low In High School”, brani come “My Love, I’d Do Anything For You”, “I Wish You Lonely” o “Jacky’s Only Happy When She’s Up on the Stage”, che faticano a reggere il passo (anche musicalmente) con quello che segue nonostante l’impegno di due chitarristi di livello come Boz Boorer e Jesse Tobias e del batterista Gustavo Manzur.

Alla fine Morrissey ritrova anche la sua ben nota vena polemica in “Who Will Protect Us from the Police?”, la canzone più rock delle dodici, che parla delle rivolte dei cittadini contro il governo venezuelano ma dopo l’ormai tristemente famoso incidente con la polizia italiana la canzone assume tutto un altro significato. Il brano più riuscito di “Low In High School” è probabilmente “I Bury the Living”: sette minuti e mezzo di sarcasmo pungente che iniziano con un insistente frinire di cicale e proseguono trascinando chi ascolta in uno scenario di guerra raccontato con lucido realismo. Non basta però a salvare un album sicuramente provocatorio che vive di momenti anche eleganti e divertenti (“All the Young People Must Fall in Love” ad esempio) ma suona poco coeso faticando più del solito a emozionare.