I Fluxus non se ne sono mai andati via veramente. Sbaglia chi parla di ritorno. Appaiono e poi scompaiono. Lasciano un segno, marchiano a fuoco e poi si smaterializzano, attendono il momento giusto per riprendere forma sonora, non ritornare. E la forma è quella migliore, a cominciare dal titolo del disco che rimanda agli Stormy Six. Noise-rock anni ’90. Lucidi, crudi, rabbiosi e secchi, come un disco fatto in presa diretta potrebbe mostrarceli. Ma anche ipnotici e minimali quando serve.

Io non rinuncio a niente, sono le cose che rinunciano a me“. Franz Goria non rimette insieme i cocci del vetro rotto. Non li raccoglie. Noi ci camminiamo sopra, scalzi. I Fluxus se ne fottono del voler apparire anni 2000 e se hanno qualcosa da dire lo dicono alla loro maniera e restando i Fluxus, non facendo finta di essere un’altra band. Si anni ’90, quando c’era una scena italiana, una scena indie. Che ora non c’è più. Poche balle. “Non si sa dove mettersi”. Ovunque, in nessun posto, tanto si sbaglia sempre nel casino che c’è. Corto circuiti tra bello e brutto, bene e male che s’incastrano e sfumano l’uno nell’altro.

E se non sapere dove stare diventasse un punto di forza?