Siamo nell’estate del 1983, in un’Italia da cartolina (praticamente un marchio di fabbrica di Guadagnino), da qualche parte in Lombardia (ho riconosciuto i dintorni del Garda, la Brianza, il Bergamasco…oh, se sbaglio perdonatemi), Elio, precoce rampollo di una famiglia un po’ ebrea, un po’ italiana, un po’ francese, un po’ americana e chi più ne ha più ne metta, è alle prese con la scoperta della sua sessualità .

L’argomento viene affrontato da Guadagnino con una profonda leggerezza che ricorda Romer, ma lasciando meno spazio all’immaginazione (di quella pesca ci ricorderemo proprio tutti). Mentre Elio si gode l’estate tuffandosi in laghetti limpide e adolescenti francesi, gli arriva in casa l’assistente universitario del padre, un Armie Hammer bravo e bello da impazzire. Tra i due sarà  un crescendo di passione e tenerezza, destinato inevitabilmente (ma non nella maniera in cui tutti vi aspettereste perchè Elio non è nemmeno maggiorenne) a finire e a segnare entrambi per il resto delle proprie vite.
Guadagnino, che in precedenza non mi aveva convinto così tanto, è bravissimo in tante cose. A tratteggiare in maniera così delicata e spontanea una storia di crescita, amore e scoperta, a immortalare l’amena bellezza del verde lombardo, ma anche a fotografare un tempo perduto. Da quest’ultimo punto di vista è meravigliosa la serata cogli Psychedelic Furs nella pista da ballo in una piazzetta di un paesino lombardo.

Ci crediate o no la parte piຠbella del film sono gli struggenti titoli di coda, merito anche della soundtrack originale di un Sufjan Stevens da Oscar certo.
Dieci minuti in meno (i troppi tergiversamemti prima di lasciare la passione esplodere) ne avrebbero fatto un capolavoro.