Quarto disco solista per Eleanor Friedberger, che insieme al fratello Matt ha fatto parte di quei The Fiery Furnaces che sono stati capaci di esplorare diversi stili musicali pubblicando album sempre più ricchi e ambiziosi, finendo per diventare un po’ il simbolo dell’indie rock made in Brooklyn dei primi anni duemila prima di sciogliersi nel 2011. Dei due Friedberger la più prolifica è stata sicuramente Eleanor, che si è progressivamente allontanata dall’ombra fraterna creando un proprio percorso artistico molto personale. “Rebound” prende il nome da un club di Atene specializzato in musica anni ottanta che la Friedberger ha frequentato spesso nel periodo passato in Grecia nel 2016.

Basta guardare la copertina di per capire che c’è qualcosa di diverso nel mondo della cantante americana: il minimalismo che aveva caratterizzato le cover precedenti (il primo piano di “Last Summer” o la foto psichedelica di “New View” ad esempio) lascia il posto a un coloratissimo ritratto della Friedberger. Anche musicalmente Eleanor cambia stile, abbandonando quasi del tutto le amate chitarre e sostituendole sempre più spesso con sintetizzatori, drum machine e tastiere. Aiutata dal solo produttore Clemens Knieper (già  al suo fianco in “New View”) si reinventa flirtando con l’elettro pop e costruendo pazientemente, nota dopo nota, un suono elegante e sofisticato.

La Eleanor Friedberger più giocosa e sbarazzina fa capolino in “Everything” e “Make Me A Song” ma sono l’intensità  di “The Letter” e il ritmo incalzante “In Between The Stars” a mostrare dove “Rebound” vuole arrivare. Stereolab e Eurythmics (difficile non considerare “Nice to Be Nowhere” un omaggio a Annie Lennox) sono solo alcuni nomi che vengono in mente ascoltando un disco indubbiamente ben fatto ma fin troppo controllato, senza mosse veramente a sorpresa. Orecchiabile, di classe, curato nei dettagli ma manca quell’immediatezza e un po’ di quell’energia che rendevano particolari i lavori precedenti della Friedberger e quelli dei The Fiery Furnaces.