“City Club” uscito nel 2016 aveva creato non poco disappunto tra gli aficionados più puristi della band californiana e del suo eccentrico e stravagante frontman Brooks Nielsen, stizziti per quella virata mainstream dovuta, soprattutto, all’intervento in cabina di  produzione di Julian Casablancas.

Non che l’album sovra richiamato sia stato un fiasco, tutt’altro, ha dato anzi (meritata) visibilità  mondiale alla band: ma il  fan di cui sopra ha le proprie regole rigide ed ortodosse, e vedere le “proprie cose” mutare di forma in una logica progressista tipica dello showbiz difficilmente lo  compiace o è motivo di soddisfazione .

I The Growlers sembrano come aver percepito queste punte di risentimento, tant’è che se ne escono con “Casual Acquaintances” il quale non è che una raccolta di demo e comunque materiale riferito proprio al periodo in cui “City Club” è stato prodotto e registrato: l’invidiabile capacità  melodica e compositiva di Nielsen, tra testi mai banali  e atmosfere da surf rock ’60/’70, accenti più gotici ora, distorti e post-punk adesso, e soprattutto la sua voce scoglionata,  da fiatone post serata di  fuoco,  il suo incedere eccentrico, stordito e barcollante, sono tutti i marchi di fabbrica dell’essenza più genuina dei Growlers, che in questo album si rifanno sentire nella loro forma primordiale, sia nei pezzi più spinti (“Orgasm of Death” è una macchina sgangherata che corre a 100 all’ora con Nielsen alla guida, braccio appoggiato alla portiera e sigaretta penzolante tra le labbra) che in quelli  a scorrimento più calmo e dilatato (come “Problems III” , una ballad dai beat sporchi e distorti).

Ed è un messaggio, una sorta di voluto e virtuoso  passo indietro, di quelli che sembrano dire coram populo “noi siamo sempre quelli là “, come a riprendere le distanze dal mondo dell’indie più patinato, commerciale e commerciabile.  O almeno, questa è la nostra speranza.