Ecco, dopo 4 tracce anticipate in streaming ed esibizioni live, l’uscita del primo lavoro self-titled dei Big Red Machine, ovvero Aaron Dessner, chitarra dei The National, e Justin Vernon, titolare effettivo del gruppo Bon Iver. La collaborazione è frutto di una lunga amicizia, già  un brano (“Big Red Machine”, appunto) era stato pubblicato negli anni scorsi con l’occasione di una raccolta musicale a fini benefici; l’album è stato prodotto all’interno del collettivo musicale PEOPLE, di cui chiaramente i due fanno parte, e registrato nello stesso studio in cui i The National hanno registrato il loro ultimo “Sleep Well Beast”.

L’LP annovera anche la collaborazione di Bryce Dessner, fratello di Aaron ed anch’egli nei The National, Richard Reed Parry degli Arcade Fire, The Staves ed altri.

Vernon e Dessner si incrociano con maestria, ognuno con le proprie caratteristiche personali, senza sovrapporsi, con un risultati emozionanti; c’è la vena compositiva e cantautorale di Vernon e i tocchi crudi e concreti, a tratti spietati,  di Dassner, tra folk ed elettronica,  ambientazioni minimaliste e naturali ora,  costruite e strutturate adesso, tipiche peraltro delle ultime creazioni a firma Bon Iver, per  uno scenario  sonoro soffuso ed onirico, protettivo,  con tanta drum machine, abbondanti synth, beat, vocoder a manipolare il falsetto di Vernon, evidenti componenti d’improvvisazione, tra tocchi di chitarra ed effettistica a momenti nervosi, spigolosi e graffianti che fanno da corollario a momenti meditativi, quasi ipnotici.

Tra pezzi come “Lyla”, con ritmi quasi tribali a guidare il pezzo ed un semplice quanto elegante piano, la delicatezza di “People Lullaby” o la turbolenta ed inquieta “Air Stryp”, brillano gioielli come “Hymnostic”, col suo sangue bluegrass e gospel, di una bellezza quasi sacra e senza tempo, e “Forest Green”, una gemma dalla bellezza e gentilezza commoventi,  tale da tenere quasi sola il valore di tutta l’opera.

Quindi, mettetevi seduti davanti al mare al tramonto, ad uno scorcio di paesaggio di montagna all’alba, o ancora osservate dall’alto la frenesia della città  occidentale moderna, poco cambia: dalle vostre orecchie, verso la vostra testa e poi giù per tutto il corpo verrete pervasi dalle pulsioni che questo lavoro porta con sè. Magari non un capolavoro in termini assoluti, ma sicuramente qualcosa di grande.