Attiviamo il radar e scandagliamo in profondità  un universo musicale sommerso. Ogni settimana vi racconteremo una band o un artista “‘nascosto’ che secondo noi merita il vostro ascolto. Noi mettiamo gli strumenti, voi orecchie e voglia di scoperta, che l’esplorazione abbia inizio (e mai una fine)”…

Gli Skinny Downers nascono a Berlino da mente irlandese, quella del chitarrista e compositore Dean O’Sullivan.

Dopo alcuni primi EP (“Into The Void” e “Isn’t it” del 2012, “Buy Me By The Sea” del 2013), è nel 2014 che pubblicano il loro primo album, “Sleeper Cell”. Chiamarla band, in questo periodo, non è propriamente corretto: tutto ruota intorno al dominus Dean O’Sullivan, che si occupa di testi, voce, chitarra, tastiere, percussioni ed effettistica, facendosi supportare da soggetti esterni quasi esclusivamente per la produzione.

Il prodotto artistico è, a sua volta, una proiezione in musica dell’io dell’oggi 32enne irlandese: ambientazioni buie, claustrofobiche, nervose,  come una creatura in fase embrionale ancora dentro il bozzolo; O’Sullivan è comunque una bomba pronta a detonare, iperproduttivo, cerebrale quanto istintivo e reattivo.

Ancora un EP (“All 4’s” nel 2014) e un “Best Of” (forse un po’ troppo autoreferenziale, uscito nel marzo 2016) prima del secondo album “Out Comes The Knife” dell’agosto 2016; il tempo scorre, e come il ragazzo si fa uomo, anche i risultati in musica ne vengono marcatamente influenzati: “Out Comes The Knife” permette al lavoro degli Skinny Downers di darsi concretezza e guadagnare spazio dimensionale, i registri sonori e canori diventano più delineati e strutturati, le atmosfere si fanno più incalzanti, a tratti quasi sacre, prendendo maggiore luce e una forma e vengono registrate nuove collaborazioni (la voce di Mick O’Reilly nella traccia che dà  il nome all’album, quella di Muireann Levis in “The Red Room”, di Katie Kim ““ che aveva già  fatto comunque capolino con “Reaching” nell’EP “All 4’s”- in “Waiting”, il synth di Dave Jacob in “I Can Only Doubt” che vede anche un featuring degli Encrypter, il sax di Lorenzo Prati degli Evil Usses in “Black Hole” e “Big Boss”).

La creatura è uscita dal bozzolo e ad ha aperto le ali, a propria volta il ventaglio artistico si allarga (emblematico il lampo “Death and Jazz”) e come una spugna è adesso pronto ad assorbire influenze, pulsioni, input e messaggi dall’esterno.

Nel mentre entra in pianta stabile nella band l’italianissima Stella Sesto, conosciuta da O’Sullivan sul web, che va ad occuparsi principalmente di synth, percussioni e backin’ vocals, portando un’ulteriore fibrillazione e quel tocco di femminilità , sensualità  e modernità  che, senza invadere, è decisiva nell’entrare nelle atmosfere cupe e soffocanti che avevano caratterizzato la prima produzione con infiltrazioni shoegaze, dreamy ed elettroniche.

E’ con l’EP “Kill Figures” che cominciano quindi a delinearsi nuovi paesaggi sonori che prendono struttura e corpo melodico, la tensione esplode in energia disegnando ambientazioni più noise, post punk e new wave, chitarre e linee di basso fanno un passo in avanti rispetto al passato allineandosi a voce e percussioni;  Nel brano “New Conservative”, curato ed arrangiato sia da Stella che da O’Sullivan, le influenze musicali personali dei due si toccano e si fondono, per un lavoro che la stessa band definisce come marcatamente influenzato dall’ultimo (in tutti i sensi) album di Bowie, “Blackstar”.

La recente uscita di “Take Care” conferma questa traiettoria evolutiva, 12 tracce registrate volutamente in chiave lo-fi e scelte in un perimetro di 25 pezzi, frutto della richiamata prolificità  di Dean, ed arrangiati in parte da Stella che cura in proprio alcune linee di basso, batteria ed effettistica; ballate distopiche, senza perdere il DNA originario fatto di emozioni crude, tetre, a tratti sepolcrali, in cui il cuore post punk batte però adesso forte e pompa verso tutta l’area d’azione: non possono passare in sordina brani come la frenetica, sporca ed ad alto voltaggio “Discipline”, già  uscita come singolo e pezzo tra i più forti di tutta la produzione, la vena Buzzcocks e le chitarre fuzzy di “Heavy Heart”, “Solid Stone” (il cui arrangiamento è stato curato quasi in toto da Stella Sesto) col suo crescendo noise, la ballada decadente e poetica tra muri di chitarre che è “With Moving Parts” o ancora “All the Love” in cui le anime della band trovano una sorta di sublimazione, e che dovrebbe a breve uscire come secondo estratto dell’album, fino a “The Fall”, lunga, dilatata ed “ispirata” alla band del compianto Mark E. Smith, che chiude l’album come le più recenti esibizioni live.

Quindi, radar accesi e funzionanti: il percorso evolutivo degli Skinny Downers merita di non essere perso di vista.