Dopo aver sposato, in un certo senso, una causa ben preicsa in “Music for Europe”, Marco Maiole è tornato a distanza di pochissimo tempo con un nuovo disco: “Cose Pese”.

Il suo modo di impostare e scrivere musica è generazionale, nel senso che è assolutamente simbolico di come ormai un album ben prodotto e ben suonato possa uscire sia da una stanzetta dell’entroterra emiliano, pugliese o abruzzese che dall’Apple Studio.

La sua scelta di scrivere “Cose Pese” è orientata ad una svolta pop, personale e intimista che è apprezzabile, in particolare nel passaggio che lo porta a cantare in italiano. Questa considerazione però non basta a salvare e rinvigorire la creatività  di base di un artista, che a prescindere dalla buonissima dote tecnica e intuitiva nel plasmare la musica, deve dare un contenuto forte a quello che scrive.

“Cose Pese” gioca su brani costruiti su frasi a loop, quasi a richiamare, questa volta in italiano, le radici digital pop del primo disco. In brani come “Blu Ray” o “Pippare” c’è l’ostentato racconto della generazione x, z, y (scegliete voi), che proprio nella sua trasversalità  rischia di perdersi e annacquarsi.

La domanda tuttavia è questa: c’è una superficialità  nella scrittura e nel pensiero artistico di Maiole o è la nostra stessa generazione ad avere questo peccato originale?

Il disco ha comunque il grande pregio di portare un suono coraggioso e fresco, che in realtà    ascoltiamo dal primo lavoro, in un contesto cucito apertamente sui sentimenti e le relazioni nel 2018.

Marco Maiole ha dunque peccato probabilmente di iper-contemporaneità : alcuni arrangiamenti sono splendidi, tanto brillanti che ti fanno venir voglia di ascoltare diecimila volte lo stesso pezzo, un esempio magistrale è “Sicuro di me”, un brano che può essere benissimo un manifesto artistico che si accende in una ritmica frizzante, e in questo caso, anche in un testo vero e convincente. Tra un crescendo e una rapsodia elettronica in “Olivia”, o un momento di scoramento e abbandono in “Cose Rese”, c’è “Tinder”, brano singolare e coraggioso. Tuttavia non voglio credere che per parlare d’amore (o di qualsiasi altra relazione umana) oggi sia veramente necessario scrivere una canzone su Tinder e giocare con le facili allusioni alla vita da social network.

Probabilmente per mettere un segno più non solo alla voce produzione, ma anche alla voce cantautorato, Maiole ha bisogno di reinventare e ricercare nuovi linguaggi per descrivere eventi, storie o idee. Un buon esempio riuscito della mediazione tra suoni brillanti e internazionali con testi convincenti può essere Ghemon.

Ascoltare “Cose Pese” è come far partire una di quelle belle playlist piene di successi, canzoni costruite e magari anche qualche grande classico, in cui proprio alla fine dell’ascolto ti rendi conto che poco è rimasto. Maiole dimostra di essere un artigiano fine e preciso, manca ancora quel passaggio successivo e importante che lo porterà  a costruire un album dalla visione artistica a 360 °: ma non abbiamo eccessiva fretta, siamo qui.