#10) GAZ COOMBES
World’s Strongest Man
[Hot Fruit Recordings]
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Meno d’impatto rispetto al predecessore “Matador”, a distanza di 3 anni il rientro in pista dell’ex frontman dei Supergrass è coinciso con un disco maturo, intimo, in cui l’autore ha messo a nudo dubbi e fragilità  ma anche piene consapevolezze. Non ha più bisogno della hit a effetto, Gaz Coombes è qui per restare e con questo lavoro si dimostra uno dei migliori songwriters della sua generazione.

#9) A TOYS ORCHESTRA
Dub Lub
[Ala Bianca]
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Si confermano dei fuoriclasse della canzone gli A Toys Orchestra di Enzo Moretto. L’ensemble salernitano è al solito affiatatissimo e di album in album porta alta la bandiera tricolore non sfigurando al cospetto di esponenti internazionali di un genere mai passato di modo come il pop rock d’autore venato di psichedelia. Sono composizioni raffinate e lunari, in grado di ammaliare e riscaldare i cuori.

#8) JULIA HOLTER
Aviary
[Domino Records]
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Un lavoro molto particolare quello della cantautrice di Los Angeles, in cui ha voluto spiazzare l’ascoltatore miscelando mondi sonori che sembrano appartenere ad epoche lontane e arcaiche ma che risultano invece modernissimi. Julia Holter è un talento purissimo che deve procedere a briglie sciolte per esprimere tutto il suo potenziale. “Aviary” è un passo avanti notevole nella sua già  ragguardevole carriera.

#7) SUEDE
The Blue Hour
[Warner]
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Al di là  dell’impatto emotivo che il nome Suede mi suscita, avendo amato da sempre la band di Brett Anderson, questo album (il terzo dal rientro sulle scene) è cresciuto di ascolto in ascolto, dando chiara l’idea che i vecchi eroi del britpop siano più vivi che mai e che non abbiano deciso di rimettersi a pubblicare dischi solo per poi raccogliere folle estasiate di nostalgici ai relativi tour. No, in “The Blue Hour” l’ispirazione vola alta, così come l’alchimia tra Anderson e Richard Oakes. E un brano come “Life is Golden” è in grado di catturare appieno l’anima, con i suoi toni epici e romantici.

#6) THE MAGIC NUMBERS
Outsiders
[Black Candy]
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Sembravano essersi fermati in un limbo i Magic Numbers, atipica band con base a Londra, e assurti a idoli indie ai tempi del debut album, per quello che era un autentico campionario di prelibatezze pop. Sono sempre loro come attitudine ma intensificano la loro proposta musicale, finendo con ruggire di più e mettendo in primo piano le chitarre elettriche. Rimangono splendidi gli intrecci sonori e vocali dei fratelli Romeo e Michelle Stodart ma in questo album ci sono meno Mamas & Papas e più Jefferson Airplane, rimanendo però assolutamente unica e riconoscibile la sigla The Magic Numbers.

#5) ANY OTHER
Two, Geography
[42 Records]
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Il miglior disco italiano dell’anno, e stride che di italiano questo lavoro della veronese Adele Nigro (factotum della band) non abbia in pratica nulla. Ma sarebbe giusto che i giovanissimi Any Other  fossero considerati anche al di fuori dei circuiti alternativi. Perchè in questo nuovo album l’asticella è stata clamorosamente alzata e, se da una parte mancano pezzi facilmente assimilabili e orecchiabili a un primo ascolto come invece accaduto nel disco d’esordio, in compenso si rimane affascinati e rapiti dalle composizioni ricche, suggestive, intense, crude eppure pienissime di nobili rimandi. Un contenitore di emozioni in piena ebollizione.

#4) COURTNEY BARNETT
Tell Me How You Really Feel
[Milk! Records/Mom + Pop/Marathon]
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Continua imperiosa la crescita artistica dell’australiana Courtney Barnett, capace di raccogliere l’eredità  delle grandi donne rock del nostro tempo. Rimane un immaginario legato agli anni ’90, quindi fatto sostanzialmente di chitarre e di un cantato viscerale, a tratti ancora sbilenco ma assolutamente in grado di trasmettere al solito una sorta di urgenza creativa. I testi sono più personali ma l’attitudine rimane tutt’altro che intimista.

#3) CAR SEAT HEADREST
Twin Fantasy
[Matador]
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Ad ascoltare le 10 canzoni che compongono questo album pare assurdo pensare che l’autore Will Toledo le abbia scritte all’età  di 19 anni. In realtà  erano già  vive e presenti, oltre che caricate sulla sua pagina Bandcamp già  a nome Car Seat Headrest (di fatto suo pseudonimo). Dopo 7 anni le ha volute riproporre, forte di una produzione finalmente all’altezza a valorizzarne le intuizioni, e soprattutto dei consensi pressochè unanimi del precedente “Teens of Denial”. Sono ancora storie adolescenziali quelle che ci racconta questo giovane cantautore americano, sfaccettate e crude, e declinate all’insegna di un rock che sembra attingere a piene mani da una tradizione indie che poi ha saputo farsi grande: tra le pieghe si sentono riecheggiare ad esempio Pixies e R.E.M.

#2) JOHNNY MARR
Call The Comet
[New Voodoo]
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Un ritorno in grande stile quello di Johnny Marr, corroborato dalle splendide esecuzioni live che lo hanno visto in forma smagliante, e che hanno estasiato i tanti fans italiani che lo hanno potuto apprezzare nella data milanese novembrina al Fabrique. A 55 anni compiuti l’ex prodigio degli Smiths non sembra volerne sapere di svernare e di vivere di rendita. Continua a mettersi in gioco e dopo aver dato il suo grande apporto qualitativo nei dischi di  Modest Mouse e Cribs, sembra volersi concentrare come non mai sulla propria carriera solista, comunque sinora apprezzabile. “Call The Comet” suona sincero, fresco, appassionato e alcune melodie sono all’altezza dei suoi successi più grandi.

#1) MITSKI
Be The Cowboy
[Dead Oceans]
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La cantante nippo – americana confeziona un album che conferma le felici intuizioni dell’acclamato “Puberty 2” e che anzi lo sopravanza in quanto a esplosività  ed espressioni stilistiche. Eterogeneo per necessità , verrebbe da dire, viste le molteplici istanze che sembrano attraversare e rappresentare Mitski Miyawaki. Tutto questo è riversato in un disco senza punti deboli, in cui sono compresenti momenti romantici, malinconici e altri in cui in maniera dirompente e dilagante emerge la complessità  di un’artista consapevole dei suoi straordinari mezzi. E’ un pop di altissima qualità , arrangiato divinamente e in cui trovare tracce di banalità  o ripetitività  somiglia a un’impresa titanica.