Come ci hanno raccontato nella nostra recente intervista, quella del primo album dei Piroshka è stata una genesi molto lunga: il supergruppo, composto da Miki Berenyi (Lush) , KJ McKillop (Moose), Justin Welch (Elastica) e Michael Conroy (Modern English), infatti, inizialmente non aveva voluto fare pubblicità  a questo progetto in modo da poter riuscire a lavorare in tranquillità  e senza pressioni.

Dopo la fine del tour di reunion dei Lush, in cui Welch aveva suonato come batterista e Conroy da bassista (ma solo nell’ultimo live-show a Manchester), i tre avevano lasciato una porta aperta per un’eventuale collaborazione futura, che è nata in effetti poco tempo dopo (verso la fine del 2017).

In questo modo proprio la Berenyi, che era quella inizialmente più dubbiosa a ricominciare, ha trovato la spinta giusta per creare con serenità  e i risultati si sentono sul disco.

I testi delle loro dieci canzoni “sono una risposta personale verso le cose che stanno accadendo in giro per il mondo”, ci ha spiegato Miki, mentre il loro suono sembra essere piuttosto variegato e comunque piacevole.

“Village Of The Damned” mostra subito l’energia del gruppo inglese: il suo ritmo incalzante, cortesia dell’ottimo drumming di Welch, assieme a deliziosi synth e al buon lavoro della chitarra di McKillop sono un ottimo biglietto da visita, mentre la voce della Berenyi sembra volerci trasportare in un mondo fatato: ciliegina sulla torta poi sono i fiati nella parte finale, che aggiungono un tocco di eleganza al brano.

Il recente singolo “What’s Next”, ispirato dalla Brexit, ha influenze post-punk, ma ha uno spirito positivo, un buon senso melodico e comunque una velocità  intensa, mentre “Run For Your Life”, ha un’anima punk piena di adrenalina (anche qui molto apprezzabile il lavoro da parte di Justin).

Non si puo’ discutere la classe di “Heartbeats”, che ci affascina con il suo raffinato sound orchestrale (ottimi i violini dal sapore maliconico); “She’s Unreal”, infine, chiude il disco con eccellenti sensazioni shoegaze, accompagnate ancora una volta dalla grazia dei vocals della Berenyi.

Difficile inserire questo disco in un genere in particolare, ma il suo ascolto è più che gradevole e il lavoro svolto dai quattro musicisti inglesi mette in luce ancora una volta ““ se mai ce ne fosse stato il bisogno ““ la loro elevata qualità .