Mi lasci violarti,
mi lasci dissacrarti
mi lasci penetrarti,
mi lasci complicarti
aiutami,
ho distrutto le mie viscere,
aiutami,
non ho un’anima da vendere
aiutami,
a fare l’unica cosa che funzioni per me,
aiutami,
ad andare via da me stesso.

Se dovessimo riassumere l’album sceglieremmo un capoverso emblematico di “Closer”, il quinto brano di “Downward Spiral”, secondo album per esteso dei Nine Inch Nails, escludendo dal conteggio gli EP “Broken” e “Fixed”.
La scelta della location per registrare l’album la diceva già  lunga sull’impronta nichilisitica che lo stesso avrebbe avuto: un villino a Beverly Hills dove i seguaci di Charles Manson assassinarono l’attrice Sharon Tate ed altre 4 persone, scrivendo con il sangue sui muri le parole “pigs”, le stesse riprese da Reznor nel brano “March Of The Pigs”.

L’elettronica in questo caso è spinta all’estremo, con il tocco geniale di Alan Moulder e Flood al mixer.
Ne esce un concept album difficile, impegnativo, da ascoltare con circospezione. Se lo si ascolta in metropolitana è difficile avere un volto inespressivo, la macchina sonora penetra negli strati più nascosti della nostra corteccia cerebrale, ci colpisce, ci dilania.
L’intento dell’artista americano che suona quasi tutti gli strumenti da solo, fatto salvo alcuni arrangiamenti affidati ad amici intimi (Chris Vrenna su tutti), è quello di destrutturare la musica e percorrere una strada completamente nuova. Non si riesce a trovare un similar artist rispetto a quello che diventano i Nine Inch Nails dopo “Downward Spiral”.

L’album si apre con un titolo che già  dice tutto: “Mr. Self Destruct”.
Il rumore sordo di un martello che sembra percuotere un corpo umano fa da intro al brano, abrasivo come l’acido muriatico.
Segue “Piggy” che sembra un brano rilassatissimo dub, quasi come “Karmacoma” dei Massive Attack. Ma d’un tratto ecco l’esplosione, l’accelerazione, la confusione, la violenza, i suoni martellanti scomposti, tenuti insieme da una tastiera vibrante.
E’ solo il preambolo di “Heresy”, che ha la stessa base di “Head Like A Hole” del primo album “Pretty Hate Machine”.
L’abrasiva “March Of The Pigs” ci porta al ritmo tipo battito cardiaco di “Closer”. Un brano capolavoro. Malgrado alcuni suoni di maniera, in stile disco anni ’80, i vari strumenti e campionamenti si sovrappongono in vari layer e compongono la trama in crescendo del brano per poi sparire in una linea di basso sulle celebri parole “I want to f*** you like an animal”. Al termine del ritornello gli strati di suoni scomposti si ripropongono ed il brano aumenta di intensità  fino al finale monocorde.

A questo punto il disco sembrerebbe aver già  detto tutto, i brani si susseguono con veemenza e proseguono nell’attività  distruttiva delle nostre abitudini musicali.
Quando ormai abbiamo alzato bandiera bianca ecco il brano che non ti aspetti: “Hurt”.
Una ballata anche qui in crescendo, comincia sussurrata e finisce sbraitata.

I hurt myself today
To see if I still feel
I focus on the pain
The only thing that’s real

30 anni se ne sono andati da quando questo album è stato dato alle stampe ed ascoltarlo ora, col senno di poi, è molto più facile, manca l’effetto sopresa.
Però resta quel senso di innovazione, di primordialità  sonica.
Ecco, un album primordiale.

Data di pubblicazione: 8 marzo 1994
Registrato: Le Pig (Benedict Canyon, California), The Record Plant (Hollywood, California), A&M (Hollywood, California)
Tracce: 14
Lunghezza: 65:02
Etichetta: Nothing / Interscope
Produttori: Floood, Trent Reznor

Tracklist:
1. Mr. Self Destruct
2. Piggy
3. Heresy
4. March of the Pigs
5. Closer
6. Ruiner
7. The Becoming
8. I Do Not Want This
9. Big Man with a Gun
10. A Warm Place
11. Eraser
12. Reptile
13. The Downward Spiral
14. Hurt