Allora, partiamo subito da una cosa, non poco scontata a parer mio…la paura.
Avevo paura che questa cosa potesse risultare una “cafonata” o, peggio, sarebbe risultata ridicola, insomma il figlio di Lennon con Les Claypool? Ma siamo seri? Davvero? E invece…invece abbiamo un prodotto che…dai, ve lo dico dopo.

Partiamo un attimo dal principio: com’è nato questo combo assai strano? Durante un anno di pausa dai Primus, Les conosce Sean Lennon, facendo da turnista per i Ghost of a Saber Tooth Tiger. Parlano un po’ e decidono di formare un progetto incentrato sul vecchio prog/psych anni ’60/’70. La prima puntata (datata 2016) era andata abbastanza bene. Ora eccoci al secondo capito: l’avrò ascoltato ormai una decina di volte e devo dire che è un ottimo prodotto, sotto molti punti di vista.

Parlando della composizione dei pezzi, effettivamente, richiama molto i mondi musicali citati in precedenza, ma, attenzione, c’è molto altro, in primis una deliziosa vena british in vari pezzi (oltremodo nei cori, davvero ben orchestrati), come ad esempio in “Blood and Rockets” e “Borinska”. I giri di chitarra e tastiera sono molto particolari e studiati alla perfezione, niente è lasciato al caso. Psichedelia e chitarre cariche non mancano e ne risulta un disco estremamente attuale, pur guardano con disinvoltura al passato (le influenze del padre di Lennon sono più che presenti).

C’è solo una cosa che mi fa storcere il naso, il basso di Claypool, si proprio quello. Calma, non intendo le parti di basso in sè, stiamo pur sempre parlando di un mostro di tecnica, ma della equalizzazione del suo strumento: Les usa principalmente frequenze medie invece che basse, come se avesse sempre il wah wah attacato, che nel contesto Primus ci sta, ma in questo caso i pezzi non pompano abbastanza a mio parere. Ok, mi direte che cerco il pelo nell’uovo, ma sono fatto così.

Per il resto l’album è davvero godibile, un connubio assai strano quello tra i due, ma davvero originale. Concludo citando quello che mi ha detto un mio amico pochi giorni,fa parlando proprio di quest’album: “E’ la band che nessuno desidera ma che il mondo si merita”. Ci sta!