Ricordiamolo: tra Pond e Tame Impala gli intrecci sono fittissimi.

Kevin Parker, deus ex machina dei Tame Impala è stato per un periodo batterista dei Pond, ed ora ne è sistematicamente dietro le quinte nella produzione, Nicholas Allbrook, frontman dei Pond, è stato a sua volta per un periodo polistrumentista con la band di Parker, Jay Watson,  quando non si “nasconde” dietro  al moniker GUM è  membro stabile di entrambi i gruppi,  Julian Barbagallo, Dominic Simper e Cam Avery  spuntano nei credits di entrambi i gruppi, pur essendo  più vicini al  progetto di Parker, che a sua volta si avvale di Shiny Joe Ryan dei Pond per  gli aspetti visuals.

Tutto molto bello.

Ma se da una parte il gruppo di Kevin Parker è fermo a “Currents” del 2015, quello di Allbrook dallo stesso periodo è al terzo lavoro in studio, ottavo ufficiale in poco più di 10 anni di attività .

Chiariamolo, per quanto il tiro, specie nelle tracce iniziali, sia volutamente easy listenting e molto Currents, questo “Tasmania” necessita di più di un ascolto per essere tratteggiato a dovere. La “solita” psichedelia di certo non manca, le chitarre invece sì, per un lavoro fortemente improntato sull’utilizzo dei synth e dai tratti fortemente 70-80’s ma nella sua accezione più new wave, disco e glam.

E così passano sinuose, stratificate, maliziose ma non così  facilmente etichettabili l’opener “Daisy”, “Sixteen Days” e “Tasmania” col loro groove dinoccolato e dove l’efebo Nick si diletta a fare la popstar anni 80 à  la George Michael più che la rockstar,  trovando il tempo di parlare dei rischi ambientali  che un paradiso  terrestre come la vicina (a loro) Tasmania stia correndo, fino al climax sintetico e cristallizzato di “Hand Mouth Dancer” che apre nella sua coda il varco per un viaggio come purificatorio, tribale e sovrannaturale che con “Goodnight, P.C.C.” e “Burnt Out Star”, tra ipnotici impulsi sonori come di uno spazio dimenticato, una di giungla spirituale ed incontaminata,  ti portano  fonderti e rarefarti, inerme, insieme ad essi: in questo quadro  “Selenè”, “Shame” e la chiusura di “Doctor’s In” arrivano come una fluttuante,  caleidoscopica, pulsante quanto delicata e magnetica luce a risvegliare e riattivare i nervi dal  beato  e calmante torpore.

“Tasmania” è un viaggio, e allo stesso tempo un lento soffermarsi nella natura più incontaminata: i Pond dal canto loro stanno, lavoro dopo lavoro,  disegnando  qualcosa per cui etichettarli ancora come cuginetti dei Tame Impala è davvero, davvero riduttivo.

Credit Foto: Pooneh Ghana