di Franco Scaluzzi

Reduci dal concerto di Salmo di 24 ore prima ci ripromettiamo di arrivare con più anticipo visto le file chilometriche che ci siamo dovuti sorbire per il rapper sardo. Inutile dire che i buoni propositi se ne vanno a farsi benedire.
Ma stavolta abbiamo il pit (God bless l’inventore…ovvero un avido speculatore). Tuttavia i biglietti sono nominali ed un signore che non piazzeresti al VAR, anche se munito di meravigliosi occhiali con luci annesse, impiega un bel po’ di tempo a controllare che “sì sei proprio tu e puoi entrare“.

Intanto sono già  le 9PM e le prime note di “June” iniziano a risuonare mentre noi allunghiamo il passo per infilarci nel palazzetto. Guadagniamo un buon posto centrale dal quale ammirare la semplicità  e l’eleganza della scenografia tutta in legno, manco Florence fosse svedese.

A seguire “Hunger” che fa impazzire l’arena.

A questo punto potremmo stare qui a parlarvi della scaletta, della splendida “Queen Of Peace” o del delirio che si scatena in “Ship To Wreck” e in “What Kind Of Man” oppure ancora della spettacolare chiusura sulle note di “Shake It Out”, ma non renderebbe giustizia alla performance di Florence. Non era la prima volta che vedevamo un suo show e quindi, in teoria, non avrebbero dovuto stupirci la voce cristallina nonostante i salti e le corse su e già  per il palco, le chiacchiere sincere e il sorriso timido. In teoria. E invece ci siamo ritrovati a bocca aperta ad ammirare una sorta di madonna pagana, alla quale avremmo affidato la password del nostro home banking.

Eleganza e forza, grazia e potenza.

Florence Welch ricorda Marina Abramovich. Ha il suo stesso magnetismo e la sua stessa credibilità . Se ti chiede di abbracciare il tuo vicino o di mettere in tasca il cellulare tu lo fai e ti godi il momento. Se dice che non è inglese ma è europea gli applausi scrosciano convinti, perchè non avverti il fasullo. Se va a contatto col pubblico tutti la abbracciano o le accarezzano i capelli e ti immagini che le stiano chiedendo qualche miracolo, manco fosse Padre Pio. Usciamo dopo quasi due ore di spettacolo puro continuando a canticchiare i suoi pezzi e con la voglia di prendere i biglietti pure per la data di Torino.

Peccato siano esauriti da mesi.