<A differenza dei semplici appetiti, il desiderio è un fenomeno sociale che prende le mosse da un desiderio già  esistente, il desiderio della maggioranza per esempio, o quella di un individuo che prendiamo come modello, senza neppure rendercene conto, perchè lo ammiriamo…>.

Così parlava Renè Girard, antropologo francese scomparso qualche anno fa a riguardo del desiderio mimetico, motore pulsante,a suo dire, della società  umana; certo, minimizzare così un pensiero di tale grandezza, è riduttivo se non offensivo, ma lo utilizziamo come base di partenza per porci un’altra domanda, dallo spessore chiaramente diverso: chi ha spinto, cosa ha dato il vero input a gente come Low, Mark Kozelek, Black Heart Procession, Idaho? Di sicuro, se non direttamente un modello, una forte fonte d’ispirazione non potrà  non essere stata quella riconducibile a nomi come Slint, Galaxie 500 o American Music Club. Nominati questi, non si potrà  fare a meno di  richiamare anche i Codeine.

Stephen Immerwahr (voce e basso), Chris Brokaw (batteria) e John Engle (chitarra) spuntarono come una sorta di risposta al grunge imperversante negli States ad inizio ’90: stesso disagio, stessa rabbia, ma non urlata tantomeno esplosiva, espressa in ambientazioni, fredde, a giri ridotti, passo lento ed andatura affranta. Slowcore, Sadcore, cercheranno di etichettare così il tutto, poi.

“Frigid Stars”, del 1990, fu un successo: scarno, essenziale, ma dove tutto era al proprio posto, con momenti di luce assoluta. Un capolavoro. Poi un EP, “Barely Real”, del 1992, quindi nell’aprile 1994 quello che sarebbe stato il loro secondo ed ultimo lavoro sulla lunga distanza, “The White Birch”, senza il batterista Brokaw, ormai immerso esclusivamente nel progetto Come, sostituito da Doug Scharin, e con l’apporto di David Grubbs.

La copertina è già  un messaggio chiarissimo d’intenti: un’istantanea desolata, invernale, minimale, in scala di grigi.

Per un corredo di brani ricercati, curati nella loro struttura basica, dove la voce di Immerwahr fa da corollario ad una sezione strumentale dove ogni nota, ogni accordo è una sentenza, di chirurgica precisione, netta, cruda, angosciante e struggente, in uno scenario di vuoto monolitico, nel suo formale ossimoro sinestetico.

Un lavoro, a suo modo, perfetto, che non ha bisogno di orpelli e che diventerà  punto di riferimento di dozzine e dozzine di band a venire.

Da lì a pochissimo, i Codeine imploderanno silenziosi e nel nulla esattamente come la loro musica ha sempre cercato di avvisarci: Immerwahr riprenderà  gli studi, diventando ricercatore scientifico, Engle sparirà  anch’egli completamente dai radar musicali, il solo Scharin si reinventerà  con i Rex,  gli HiM o in solo con alterne fortune.

Ma loro musica, e questo “White Birch”, rimarranno così, come la betulla immortalata nella copertina del loro album: immobile, drammaticamente sola di fronte all’incedere del tempo che però non la vedrà  mai invecchiare. Vedrà , anzi, una pletora di osservatori venire a studiarla, toccarla, desiderosi di carpirne l’essenza, la struttura, l’intensità . O solo di darle il doveroso tributo.

Così facciamo noi, per il 25esimo compleanno di questo “White Birch”.

Codeine – White Birch
Data di pubblicazione: 4 Aprile 1994
Tracce: 9
Lunghezza: 43:11
Etichetta: Sub Pop
Produttore: Codeine, Mike McMackin

Tracklist:
1. Sea
2. Loss Leader
3. Vacancy
4. Kitchen Light
5. Washed Up
6. Tom
7. Ides
8. Wird
9. Smoking Room