Penso al percorso artistico e personale di Soap&Skin, moniker dietro al quale si cela la musicista e produttrice austriaca Anja Plaschg. Fin da bambina studia il piano e il violino, si appassiona alla musica elettronica, dichiara più volte la sua fascinazione per artisti come Xiu Xiu, Cat Power, Bjork, Nico. Nel 2009, ad appena diciannove anni, pubblica “Lovetune for Vacuum”, un disco capolavoro. La vita la segna, la colpisce duramente con la morte prematura e improvvisa del padre. Nel 2012 ci regala un’altra gemma con “Narrow”, una gemma cupa che raccoglie i cocci di un’anima ferita, le lacrime, il sangue e l’angoscia che ti taglia il respiro.
Poi, per quasi sei anni, non pubblica più nulla, scrive musica per il teatro, interpreta due film, diventa mamma. Cresce, si trasforma ed è di nuovo pronta per incidere, produrre e suonare. L’attesa e finalmente il suo terzo album ” From Gas to Solid / you are my friend”, uscito lo scorso ottobre.
Osservo il palco di Santeria Social Club, sembra quasi piccolo per contenere tutti gli strumenti allineati come piccoli soldatini.
Le luci si abbassano, uno scroscio di applausi e il pubblico, molto numeroso, si raccoglie in un silenzio quasi religioso.
Mi ritornano in mente le parole di Søren Kierkegaard “Che cos’è l’attesa? Una freccia che vola e che resta conficcata nel bersaglio. Che cos’è la sua realizzazione? Una freccia che oltrepassa il bersaglio.”
Sono le 22, Anja sale sul paco, con “This Day” lancia la sua freccia e oltrepassa il bersaglio. Piano, archi, fiati, un’invocazione sussurrata che ci illumina dall’interno sui massimi sistemi “What is in creation, The forgot had left us to stay, Show me rebellation”.
Maglietta bianca, capelli raccolti, emozionata ringrazia sottovoce e torna al piano. Parte “Athom” il pathos cresce, le seconde voci si intrecciano meravigliosamente su inserti elettronici, ad addolcire bit che ricordano ingranaggi meccanici. Ogni senso viene riattivato, qualcosa di profondo e primitivo inizia a pulsare in ognuno di noi e non può che esplodere sulla marcia a sonagli di “Creep”.
Sul palco c’è una piccola orchestra, trombe, violini, violoncello, contrabbasso, piano, percussioni che Anja dirige abile e magnetica con una semplicità che commuove. Aperture ariose, sfumature jazz, vocalizzi, ombre e tensioni che scorrono e ipnotizzano.
“Foot Chamber”, “Safe with me”dove canta “No love can be safe with me”, “Vater”, “Italy” il nostro paese che diventa il simbolico approdo di un viaggio tormentato. “Surrounded” pugni sul petto, i costrutti sonori offrono momenti di rara intensità e potenza.
Una commovente versione di “Mawal Jamar” di Omar Souleyman e un’interpretazione da brividi di “Pale Blu Eyes” di Lou Reed ci accompagnano verso il finale.
I conflitti e i traumi che riaffiorano, le lacerazioni e la luce, in un’ora e mezza la catarsi si compie. L’anima viene purificata e liberata.
Un carillon e le note di “What a Wonderful World” , stasera esco e ripeto “I think to myself what a wonderful world”.